Tra le caratteristiche principali di molti cartoni animati giapponesi c'è l'uso di grandi occhi per i loro personaggi principali. Perché?
I cartoni animati giapponesi sono tra i più amati da grandi e piccini, e, ancora oggi, quando passano in televisione, in molti rimangono affascinati dalle loro trame e dai personaggi così ben delineati e soprattutto disegnati. Basti pensare a prodotti cult degli anni Ottanta e Novanta come Candy Candy, Occhi di Gatto e Sailor Moon. Tutti questi cartoons hanno la particolarità di prevedere per i loro personaggi, nella maggior parte delle volte, dei grandi e sconfinati ‘occhioni’. Qual è il motivo di tale scelta?
Di solito, tra le risposte più gettonate in questo senso c’è quella secondo la quale i giapponesi vogliano in realtà sembrare ‘occidentali’ e avvicinino, quindi, al loro ideale i personaggi dei loro manga o anime. Questa affermazione, tuttavia, benché abbia un fondo di verità, non è del tutto corretta come si potrebbe facilmente pensare di primo acchito. I disegnatori dei cartoni animati o manga, infatti, non mettono a punto le loro opere con in mente un ideale occidentale, ma danno semplicemente loro uno standard messo a punto negli ultimi sessant’anni di storia.
Osamu Tezuka, creatore di Astro Boy, è ritenuto uno dei padri dei cartoni animati giapponesi e ha iniziato la sua attività disegnandoli ispirandosi a personaggi come Betty Boop o quelli della Disney, dando loro i caratteristici occhi grandi. Ciò ha fornito ispirazione ai disegnatori che sono arrivati dopo di lui, contribuendo quindi a formare uno standard che dura ancora oggi.
Il motivo dietro a questa sorta di occidentalizzazione non è tuttavia da imputare a un’ “invidia” da parte del Giappone. Negli anni del secondo Dopoguerra, il Paese si trovava distrutto non solo materialmente ma anche moralmente e aveva bisogno di trovare una spinta per risollevarsi. Ciò avvenne grazie all’industria dei giocattoli, che vennero creati usando materiali americani e avrebbe poi dato il via alla nascita del fenomeno esploso nei 2000 del cosiddetto Cool Japan.
Il mercato decise quindi di rivolgersi al ricco mercato legato ai bambini americani, di certo non interessati alle bambole tradizionali giapponesi e andò perciò incontro alle loro esigenze. Ormai, ai giorni nostri, anime e manga fanno parte della cultura giapponese, ma il suo popolo non si identifica con i loro personaggi.
Ecco perché non hanno nessun problema a vedere attori occidentali interpretare personaggi di live action basati sui cartoni animati giapponesi: si tratta di un lungo processo di esproprio e di influenza vissuto dal Paese e che non ha nulla a che fare con il desiderio di essere considerati occidentali. È quindi sbagliato ridurre questa scelta stilistica solo a un recondito desiderio da parte del Giappone, quanto a una scelta e necessità legata ai suoi anni più bui.
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