Bienvenue a bord, intervista al regista Eric Lavaine
Di seguito l’intervista a Eric Lavaine, regista e sceneggiatore della commedia Bienvenue a bord. Come è nata l’idea di BIENVENUE À BORD? Guardando dei documentari sulle crociere. Nove volte su dieci sono presentate con un aspetto datato, con vecchi cantanti e passeggeri infermi. Ho pensato che non poteva essere tutto lì, e che in quell’universo […]
di Redazione / 24.03.2012
Di seguito l’intervista a Eric Lavaine, regista e sceneggiatore della commedia Bienvenue a bord.
Come è nata l’idea di BIENVENUE À BORD?
Guardando dei documentari sulle crociere. Nove volte su dieci sono presentate con un aspetto datato, con vecchi cantanti e passeggeri infermi. Ho pensato che non poteva essere tutto lì, e che in quell’universo si poteva sviluppare una sceneggiatura. Una nave è un’isola galleggiante, un luogo chiuso dove le persone si incontrano inevitabilmente nel corso della giornata. In quel contesto, potevo raccontare molte storie, umane, d’amore. Insieme a Hector Cabello Reyes, il mio sceneggiatore, abbiamo fatto una crociera di una settimana per immergerci nell’ambiente, e ci siamo accorti che la gente si diverte, si traveste, balla, è felice.
Perché ha scelto di realizzare una commedia romantica, un genere che normalmente non le appartiene?
A causa di PROTÉGER ET SERVIR. Anche se il film era divertente, alla fine non restava molto, perché non c’era emozione. Con BIENVENUE À BORD volevo che gli spettatori ridessero, ma che fossero anche toccati dai personaggi. E che uscendo dal cinema fossero allegri. Un dosaggio complicato su cui abbiamo lavorato molto, io e Hector. La sequenza che riassume meglio ciò che volevamo è quella in cui Rémy ha il mal di mare mentre la capitana (Luisa Ranieri) gli dice che suo marito è morto. Lo crede sconvolto perché ha la faccia distrutta, ma è solo perché gli viene da vomitare.
E come si traduce in termini di regia?
Volevo che fosse il più leggero possibile, più focalizzato sugli sguardi, non cercavo la risata a tutti i costi e ho fatto particolare attenzione alle immagini. In CASINO di Martin Scorsese, le scenografie sono straordinarie, ma in un vero casinò si ha l’impressione di essere a casa di un Libanese che ha fatto fortuna in Texas. È orribile. Sapevo che l’arredamento della nave dove avremmo girato poteva essere valorizzato. Ne ho parlato con il direttore della fotografia, Stéphane Le Parc, e ha fatto miracoli. Avevo anche deciso di adeguarmi al genere e di filmare la nave che si allontana al tramonto, con un uomo, una donna e un bambino abbracciati sul ponte, ad esempio. I personaggi dovevano essere belli, come quando si sta in vacanza, abbronzati dopo qualche giorno al sole. E anche Rémy. Nella scena del ballo, Franck Dubosc in smoking è molto affascinante. In alcune inquadrature assomiglia ad Alain Delon; siamo lontani dalla sua immagine abituale. Più in generale, volevo che il film fosse più bello sul piano visivo rispetto ai precedenti. Poi mi sono dedicato molto alla musica, volevo che avesse lo stesso tono della storia. Ho avuto la colonna sonora che sognavo grazie a Jean-Michel Bernard, il compositore abituale di Michel Gondry.
È anche il suo primo film corale…
Un coro di 4000 persone, contando i passeggeri e l’equipaggio! (ride). Ho scoperto che è molto difficile portare avanti più storie in parallelo. Inoltre, era necessario che i ruoli secondari che gravitano intorno ai personaggi principali subissero una reale evoluzione. Come la moglie dell’amministratore delegato con l’istruttore di ginnastica, la direttrice delle risorse umane con il direttore della crociera o Rémy con la capitana. È difficile da scrivere, perché sono dei fatti, non c’è un centro di gravità del film. Qui, la vendetta della direttrice delle risorse umane non è che il detonatore di tante altre storie. Ma a me piacciono le interazioni tra i personaggi, dimostrare che gli incontri determinano il loro percorso. È così anche nella vita.
Contrariamente ai film precedenti, i personaggi femminili esistono davvero. Cosa è successo?
Per un regista di commedie, far ridere le donne è più difficile. Perché le conosciamo meno e abbiamo paura di essere cattivi. Un esempio tipico: in BIENVENUE À BORD, quando il Meticoloso, interpretato da Jean Michel Lahmi, viene respinto durante il ballo, fa ridere. La stessa situazione con una ragazza brutta diventa di una tristezza assoluta. È solo un problema di cultura e di educazione. È così. Dunque è una questione delicata. Ma devo molto a Valérie Lemercier. Quando mi ha detto di rispedirle la sceneggiatura, che aveva ricevuto ma non letto, l’ho riscritta tenendo conto del suo potenziale e di come è lei dal punto di vista umano. È un’attrice straordinaria, ricca e profonda. E nella vita è emozionante, intelligente e fragile. Tutto ciò ha arricchito il personaggio.
Si è vista raramente in un registro così sobrio…
Non volevo proporle l’ennesimo ruolo comico. Avevo bisogno che fosse vera, che fosse un contrappunto al personaggio di Franck Dubosc. Nella scena di apertura, se avesse interpretato una direttrice-aguzzina nei confronti di Rémy, saremmo finiti nella scenetta dello scemo e della smorfiosa. Qui invece vediamo che Rémy la diverte, come può succedere quando si incontra un imbecille. Se Franck Dubosc fa ridere, è proprio per il confronto con degli attori che reagiscono normalmente. Stava tutto nel trovare un equilibrio tra commedia e realtà. Scatenare la risata facendo in modo che le situazioni restassero reali per permettere agli spettatori di identificarsi con i personaggi. Valérie era perfetta: ha il senso della commedia, sa come gestire i tempi. Era indispensabile con Franck Dubosc, Gérard Darmon e Lionnel Astier. Se rifacessi lo stesso film con altri attori che non sanno gestire i tempi così bene, non riuscirebbe.
Franck Dubosc, con cui ha già girato INCOGNITO, si è imposto da subito nel ruolo di Rémy?
Di base, in INCOGNITO aveva un ruolo minore. Il potenziale è venuto fuori nel corso delle riprese, e così ho dato maggiore importanza al personaggio. Ma non ero soddisfatto, e avevo voglia di lavorare di nuovo con lui. Dunque ho pensato subito a lui per BIENVENUE À BORD. Rémy è un po’ il fratello minore del Francis di INCOGNITO. Ha la stessa ingenuità, il carattere infantile. Ma non è una vittima, sa di essere trattato da scemo. In fondo, lo dice in una scena. Franck riesce a far passare questi paradossi. Non sono molti gli attori in grado di farlo. È un attore straordinario, molto esigente. È un piacere lavorare con lui. Si impegna sia al livello dei testi, che dei personaggi. È l’attore che mi aiuta di più nella rilettura globale di una sceneggiatura, senza scrivere nulla, solo parlando.
La coppia degli scorbutici, composta da Lionnel Astier e Gérard Darmon, è irresistibile…
Lionnel Astier, lo avevo trovato geniale in KAAMELOTT. Lo avevo visto in un film in cui mi aveva ingannato: malgrado il suo ruolo fosse scritto molto male, era incredibile! Durante le riprese di BIENVENUE À BORD è rimasto sorpreso dal livello dei suoi compagni e si è impegnato moltissimo. Alla fine, era fantastico. Per me, è stato la rivelazione del film. Tutti sanno cosa è capace di fare Gérard in una commedia. Adoro il servilismo del suo personaggio. I suoi gesti, quando si rivolge ai passeggeri, fanno morire dalle risate, e possiede inoltre una prestanza naturale che lo rende perfettamente credibile nel suo ruolo di direttore di crociera. Possiedono entrambi quel senso per i tempi di cui parlavo, sapevo che sarebbero stati perfetti. Quando si ha un cast di quel livello, non ci sono problemi.
Avete girato per sei settimane su una vera nave da crociera. Quali sono stati i limiti?
Sul piano della messa in scena, minimi. Giravamo durante le soste, mentre i passeggeri erano a terra, e per il resto del tempo, abbiamo recintato delle aree piuttosto ampie. Alcune scene divertenti, come quella in cui l’amministratore delegato cerca di sorprendere la moglie a letto con l’allenatore, sono state realizzate in studio. Le cabine, troppo piccole, limitavano l’asse della macchina da presa. Abbiamo dovuto anche stabilizzare alcune sequenze in postproduzione a causa delle onde. Ma il problema vero era il suono. In esterno, era tremendo, tra il vento, i gabbiani, le caldaie, l’elica, c’era sempre rumore. Sono stato costretto alla post-sincronizzazione. Per il resto, non ho avuto grosse difficoltà, la troupe e i produttori si sono organizzati in modo tale che io potessi dedicarmi completamente alla scrittura, ai miei attori e alla regia. Era tutto ciò che volevo. Sul set non sono un isterico, in quel caso ero veramente zen.
Eravate sempre insieme sulla nave, anche quando non giravate. La complicità ha arricchito il film?
È vero che invece di tornare a casa, nel traffico di Parigi, ci ritrovavamo sul ponte 9 per prendere un aperitivo o mangiare. Era molto piacevole e ci ha fatto avvicinare. È molto più facile lavorare quando le persone sono complici; si guadagna tempo, energie, l’ambiente è disteso e credo che nel film si senta. E infatti non è finita lì. Rivedo regolarmente Enrico Macias, Philippe Lellouche, Franck Dubosc, Gérard Darmon e Valérie Lemercier. Ci sentiamo, andiamo a cena insieme. È la prima volta che mi succede, dopo un film.