A Royal Weekend: i commenti del Cast
Dinah Collin, Olivia Colman, Laura Linney, Kevin Loader, Bill Murray, Elizabeth Marvel, Samuel West, Olivia Williams, Elizabeth Wilson commentano il film di cui sono protagonisti: A Royal Weekend.
di Redazione / 08.01.2013
Aspettando il 10 gennaio quando al cinema, distribuito da Bim, arriverà A Royal Weekend, vediamo che cosa ha da dire il cast tecnico ed artistico sul film.
David Aukin, produttore
Simon Bowles, scenografo
Dinah Collin, costumista
Olivia Colman, attrice che interpreta nel film la Regina d’Inghilterra, Elisabetta
Laura Linney, attrice che interpreta Daisy nel film
Kevin Loader, produttore
Bill Murray, attore che interpreta nel film il Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt
Elizabeth Marvel, attrice (interpreta nel film Missy, la segretaria di Franklin Delano Roosevelt
Morag Ross, truccatrice
Samuel West, attore che interpreta nel film Bertie, il Re d’Inghilterra
Olivia Williams, attrice che interpreta nel film la First Lady, Eleanor Roosevelt
Elizabeth Wilson, attrice che interpreta nel film Sara Delano Roosevelt, madre del Presidente
David Aukin: A Royal Weekend è un’opera di finzione basata su eventi reali, con la penetrante sceneggiatura di Richard Nelson che evoca brillantemente il periodo e i personaggi storici coinvolti.
Bill Murray: Roosevelt è il personaggio più straordinario che mi sia mai stato chiesto di interpretare, e questa storia, che non conoscevo, mette in luce la sua dimensione privata. C’è una particolare cifra di umanità nella sceneggiatura di Richard. Dopo aver letto la sceneggiatura ho chiamato Roger Michell (regista/produttore) e abbiamo avuto altre conversazioni telefoniche. Lui poi ha detto: “Vengo a trovarti (in America)” e siamo andati alla spiaggia e abbiamo continuato a parlare di come potevamo trattare questa storia.
Elizabeth Marvel: Non avevamo nessuna intenzione di fare una mera ricostruzione storica. Si trattava di umanizzare la politica.
Samuel West: O, se vogliamo, di esplorare com’erano queste figure pubbliche in privato. Re e Presidenti non commettono forse errori o non hanno forse i loro piccoli trionfi a cena o in camera da letto, come tutti noi?
Olivia Williams: Questa vuole essere una storia illuminante raccontata in modo affettuoso, non si tratta di lavare i panni sporchi in pubblico o di sminuire chicchessia agli occhi del mondo. Nel corso del tempo sono venute alla luce delle verità sulla vita privata di questi leader; io penso che gli spettatori saranno intrigati, divertiti e sorpresi. Richard colloca immani eventi di portata mondiale entro il cotesto di un weekend in una casa di campagna, con tutte le sue bizzarrie mondane. E’ riuscito a trasformare icone del ventesimo secolo in persone a tutto tondo e allo stesso tempo ad esplorare la loro influenza politica.
Elizabeth Wilson: Quando ho letto il copione, ho pensato: “Non stanno nascondendo nulla“. Ammiro la scrittura di Richard e la sceneggiatura era fedele alla realtà storica, autentica e piena di umorismo. Io penso che sia un film sul tema della capacità di sopravvivenza. Non mi è parso vero che Roger mi chiedesse di interpretare questo ruolo, perché sono cresciuta nel Michgan negli anni ’30 ed ero una grande fan di Franklin Roosevelt. Mi avevano cresciuto nella fede Repubblicana. Ma quando Roosevelt divenne Presidente – io fui colpita come la maggior parte dei miei amici e della mia famiglia. Diventammo Democratici. Ha significato molto, per me, avere l’opportunità di tornare nella luce di qualcuno che veneravo.
David Aukin: Dal punto di vista dell’analisi della prassi politica, è una storia che ha ancora un sapore contemporaneo, per il modo in cui la dimensione pubblica e quella privata si mescolano. Tra Bertie e Roosevelt venne a crearsi uno stretto sodalizio non solo politico, ma anche umano. Roosevelt era più anziano e trattava il Re quasi come un figlio. Il Re lo assecondava perché il suo vero padre era una figura distante.
Laura Linney: Era la prima volta che i Reali Inglesi mettevano piede negli Stati Uniti. Data la storia comune dei due paesi non era cosa da poco.
Samuel West: Avevano avuto quel piccolo screzio due secoli prima, e nessuno aveva fatto un passo indietro… ma l’impensabile, la Seconda Guerra Mondiale stava per accadere, e la Gran Bretagna aveva bisogno di sapere se potesse contare o meno sull’alleanza degli Stati Uniti.
David Aukin: Storicamente questo weekend nel 1939 è il momento in cui la “relazione speciale” fra Inghilterra e America ha avuto inizio. Dopo la sua partenza il Re inviò un telegramma a Roosevelt ringraziandolo e scrivendo: “sento che abbiamo forgiato una relazione speciale” – è così che il termine è entrato in uso. Il Re, mangiando un hot dog, dimostrò che l’Inghilterra avrebbe accettato finalmente gli Americani come suoi pari, che Bertie non li guardava dall’alto in basso.
Kevin Loader: Era un momento chiave nelle relazioni fra l’Inghilterra e l’America. I Reali intuirono il valore simbolico del gesto di mangiare un hot dog, e si dimostrarono all’altezza della sfida.
Elizabeth Marvel: Quel giorno è stato il risultato di un grosso impegno reciproco; furono necessari una lunga corrispondenza e un intenso lavoro diplomatico per far accadere quella visita, per costruire quel ponte.
Laura Linney: All’epoca della loro visita in America, i Reali erano in una condizione di vulnerabilità. C’era un diffuso sentimento anti-britannico negli Stai Uniti.
Samuel West: Poiché Richard è autore di teatro oltre che sceneggiatore, si fida degli attori, non mette fra parentesi inutili didascalie per dirti come recitare la parte, del tipo “con preoccupazione” o “rabbiosamente“. Questo ti dà un’enorme libertà e ti trasmette un senso di fiducia verso le tue scelte interpretative. La sua scrittura è pungente, e risulta immediata. Lo interessano piccoli dettagli che gradualmente si sommano con un potente effetto cumulativo che è difficile anticipare. Trovo che sia un’abilità molto speciale.
Olivia Colman: Io non sono molto dedita al lavoro preparatorio, ma Sam West, all’occorrenza, aveva pronti libri ed immagini.
Samuel West: Ho letto biografie di Bertie ed Elizabeth, e mi sono sprofondato in un paio di libri su Roosevelt. Eleanor Roosevelt disse che Elizabeth sorrideva o salutava la folla in un modo tale che ognuno pensava che quel sorriso o quel saluto fossero solo per lui.
Olivia Colman: Sam ed io abbiamo parlato a lungo di come il Re e la Regina fossero questa giovane coppia così sotto pressione, avendo l’ingrato compito di andare a conquistare gli Americani.
Samuel West: Avevano commesso l’errore di leggere le recensioni prima della “prima“, per così dire.
Olivia Colman: Elizabeth dovette subire dalla stampa crudeli confronti con Wally Simpson (la donna per cui Re Edoardo VIII aveva lasciato il trono); aveva addirittura perso peso prima di affrontare il viaggio. Avevano tutti gli occhi puntati addosso – non solo quelli del loro paese, ma anche quelli dell’opinione pubblica americana.
Samuel West: Quei due avevano passato anni a pensare: “beh, non sarò mai Re o Regina“. Sarebbe stato tutto diverso con Edoardo VIII (se fosse rimasto sul trono)… Bertie si era ritrovato con le spalle al muro. Una delle ragioni per cui aveva assunto il nome di Re Giorgio VI era stata la volontà di assicurare continuità chiamandosi come suo nonno. Disse a Winston Churchill che sperava di regnare abbastanza a lungo da mettere le cose a posto. Il viaggio era importante per il paese ma anche per la monarchia come istituzione.
Bill Murray: Fu coraggioso da parte del Re e della Regina venire qui e mettersi alla mercè della popolazione Americana – lasciandosi osservare, toccare e consentendo che si parlasse di loro. Dovevano rendere concepibile per gli Americani l’idea di unirsi a loro nel conflitto, ma presentare la cosa come se fossero dei vicini che vengono a chiedere una tazza di zucchero. Cambiarono totalmente l’idea che l’opinione pubblica Americana aveva della famiglia reale.
Samuel West: Noi crediamo nell’America come un luogo in cui ci si può reinventare. Bertie e Elizabeth tornarono in Inghilterra in trionfo. Io credo che Bertie uscì definitivamente dall’ombra di suo padre, e Elizabeth scoprì di essere molto brava a trattare informalmente con le persone – cosa che gli Americani adorano. Entrambi andarono d’accordo con Roosevelt.
Olivia Colman: Recitare con Bill Murray è stato un sogno che diventa realtà. Sul set porta una ventata di anarchia. Fra un ciack e l’altro, mette musica d’ogni genere su un grosso impianto stereo: i Beatles, Sinatra, musica sacra Russa…
Kevin Loader: …Simon & Garfunkel, jazz classico, un po’ di funk, musica corale tradizionale… All’inizio non c’era; penso che sia spuntata fuori verso la terza settimana di lavorazione.
Olivia Colman: Mentre gira le sue scene affida tranquillamente lo stereo ad altri. Crede sinceramente che se l’atmosfera è divertente e amichevole, la qualità del lavoro sarà alta. Gli piaceva ordinare ciambelle fritte per tutti.
Elizabeth Marvel: Quando non si girava era una festa continua. Ma sul set si trasformava… si metamorfizzava come fa ogni bravo attore.
Olivia Colman: La gente amava l’umorismo di Roosevelt, la sua gentilezza e la sua generosità, e tutto questo trovava perfetta rispondenza in Bill.
David Aukin: Quando uscivo con Bill, tutti gli facevano festa, dovunque andasse. La gente è molto affettuosa con lui, perché lui ha trasmesso tanta gioia a tante persone con tanti film.
Bill è un attore meraviglioso. Quello che rende davvero molto bene è iI modo in cui il presidente manipola e affascina le persone per ottenere i suoi scopi, ma Bill non si limita a questo e coglie interamante lo spirito e l’essenza dell’uomo. Ha fatto molta ricerca su Roosevelt, che è sempre stato filmato e fotografato, storicamente, in modo che non fossero visibili gli effetti della poliomielite.
Kevin Loader: Per ritrarre fisicamente Roosevelt con assoluta precisione, Bill è venuto in Inghilterra con un po’ di anticipo, e ha incontrato i rappresentanti della British Polio Society; un fisioterapista ha realizzato dei tutori e gli ha insegnato a camminarci.
Bill Murray: Mia sorella aveva la poliomielite, e quindi sono cresciuto con lei che indossava un tutore. Aveva alcuni di quelli che chiamano effetti post-polio che si hanno molto più tardi nella vita. E’ incredibile come la volontà di Roosevelt riuscisse ad avere la meglio su tutto questo. Non si è mai visto il minimo accenno di autocommiserazione in lui. Era molto intransigente: non doveva essere fotografato mentre veniva portato in giro con le stampelle o sulla sedia a rotelle. C’era un tacito accordo: in cambio di questa attenzione, lui si sarebbe dimostrato aperto e avrebbe tenuto regolarmente conferenze stampa, cosa che il precedente Presidente degli Stati Uniti, Herbert Hoover, non faceva.
Simon Bowles: Volevamo ricreare la sedia a rotelle che usava Roosevelt, ma abbiamo scoperto che ne possedeva diverse. Abbiamo deciso per quella che oggi è conservata a Springwood, accanto alla sua scrivania nella biblioteca. Si potrebbe pensare che realizzarne una replica sia cosa semplice, ma no: le ruote le abbiamo dovute far venire dall’Olanda e abbiamo dovuto adattare una sedia da cucina realizzata appositamente per imitare la seduta originale che aveva lati paralleli tali da consentire alle ruote di girare. Anche la sottostante struttura metallica la si è dovuta realizzare appositamente. Abbiamo dovuto decidere che tipo di quercia usare, e di che colore fossero le macchie del legno, e controllare le viti e i bulloni.
Bill Murray: La fisicità era un aspetto molto importante nella costruzione del personaggio. Ho anche ascoltato molto la sua voce, il suo modo di parlare. Dal punto di vista della formazione, stiamo parlando di un uomo che è cresciuto a New York, a Hyde Park e a Campobello, quindi sia negli Stati Uniti sia in Canada. Era stato in Inghilterra, era andato a scuola a Groton, nel Connecticut. Quindi aveva ricevuto molti diversi influssi linguistici, e tuttavia la sua voce aveva una tonalità molto individuale. Devi avere un guizzo un po’ malandrino nello sguardo per portare le persone a fare quello che vuoi tu. Sapeva che è tutta questione di “do ut des“. Riusciva a far sì che le persone credessero in lui.
David Aukin: Con la luna piena, c’era qualcosa di speciale nell’aria, quel weekend; per me c’era un po’ l’atmosfera di Sorrisi di una notte d’estate di Bergman e questo era parte del fascino della sceneggiatura.
Dinah Collin: Roger mi ha citato Sogno d’una note di mezz’estate di Shakespeare. La sceneggiatura di Richard ha una struttura narrativa forte, racconta una storia emozionante, ed è anche divertente. Io avevo molto materiale visivo di riferimento, ma la cosa principale era che avremmo girato in Inghilterra, e quindi mi sono reso conto molto presto che tutti costumi sarebbero dovuti arrivare dall’America. Sono andato a Los Angeles per due settimane e ho trovato vestiti, cappelli e abiti da uomo deliziosi in quattro diverse sartorie. Abbiamo spedito più di 54 scatoloni. Non c’erano molte foto di Daisy, e quindi ho dovuto basarmi su foto di donne americane della seconda metà degli anni ’30.
Morag Ross: Il film è incentrato su personaggi molto specifici, ma è stato utile avere materiale documentario relativo alle condizioni generali di vita negli Stati Uniti a quell’epoca. Per il trucco abbiamo usato prodotti moderni, che sono migliori per la pelle, e abbiamo lavorato per ottenere il look del periodo.
Dinah Collin: Abbiamo usato tessuti originali accanto a tessuti ricreati per l’occasione. Un abito che avevo riportato si stava quasi disintegrando, ma lo volevo per quando mi sarei incontrato con Laura Linney a New York, giusto come punto di partenza. Avevo trovato anche queste scarpe bianche con i lacci e una piccola fibbia, e guarda caso a Laura calzavano perfettamente: abbiamo fatto realizzare dei duplicati.
Samuel West: Il più bel costume che avevo era un pigiama Macclesfield di seta, originale degli anni ’30. Dinah lo ha fatto mettere a misura e gli ha fatto fare i ritocchi necessari perché avesse una silhouette molto snella.
Elizabeth Wilson: Io non ero particolarmente fiera della mia taglia, ma Dinah è stata di grande aiuto: non potevo credere che fossa venuta in America con tutto quel guardaroba.
Dinah Collin: Ho incontrato Bill Murray per la prima volta a Boston, non lontano da dove stava girando Moonrise Kingdom. Alla prova costume abbiamo parlato di come il Presidente Roosevelt avesse un tronco robusto perché per necessità aveva dovuto rafforzare quella parte del corpo.
Bill Murray: Roosevelt ha ricostruito il suo tronco. Ha ricostruito i suoi addominali che avevano perso completamente il loro tono muscolare e ha recuperato la funzione motoria in parte delle cosce e nella parte superiore delle gambe.
Dinah Collin: Alcuni degli abiti più vecchi stavano proseguendo un viaggio stupendo. Il costume deve trasportare l’attore nel personaggio, in modo che anche il pubblico ne sia convinto. Può essere originale del periodo, ma devi immaginare qualcuno in questi abiti, non solo chi li ha indossati originariamente, ma anche i personaggi della storia, e forse te stesso.
David Aukin: Abbiamo trovato i vestiti giusti, le automobili giuste, le ambientazioni giuste, i mobile giusti e così via, ma Roger ha trovato un buon equilibrio perché non fosse semplicemente un “film d’epoca“. E’ una storia di persone che si dà il caso vivano in una certa epoca storica. Quando sei nello studio di Roosevelt pensi: “ecco l’ufficio di un uomo molto potente.“
Elizabeth Marvel: Il mio personaggio si chiama Missy, e il suo vero nome era Margaret LeHand. Era la segretaria di Roosevelt anche prima che divenisse presidente: erano stati presentati l’uno all’altra quando avevano cominciato a lavorare per il Partito Democratico nel District of Columbia. La gente diceva che era per lui come una moglie, tanto era stretto e intimo il loro rapporto. Quando lui è stato colpito dalla polio, e si è trasferito in Florida, lei lo ha seguito e ha vissuto con lui in una casa galleggiante. Lo ha aiutato a risorgere. Poi gli è stata al fianco nella gestione della Casa Bianca; era una grande organizzatrice, e una donna cosmopolita. Anche lei era soggetta a crisi depressive, e ha sofferto molto nel fare il lavoro che faceva: ha fatto le sue scelte sapendo che sarebbe stata nella stanza dei bottoni in quei momenti incredibili in cui vengono prese decisioni storiche.
Bill Murray: Ogni volta che Franklin Roosevelt prendeva una decisione, questa cambiava l’esistenza di milioni di persone. Nel suo ruolo di leader era costretto a tenere un equilibrio molto delicato fra coinvolgimento personale e distacco rispetto a quello che stava accadendo nel vecchio continente, oltre a cercare di ricostruire l’economia e di fare uscire l’America dalla Depressione. Doveva bilanciare responsabilità fiscale e responsabilità militare. Sapeva quando era il momento di scendere a compromessi e quando era il momento di tenere la linea dura. Una sera, dopo le riprese, sono andato in macchina a Grosvenor Square, e sono passato davanti all’Ambasciata Americana, dove c’è una grande statua di Roosevelt, dedicatagli a un anno dalla morte. La sua postura è in piedi con un cappello della Marina, e appare come il miglior amico che l’Inghilterra abbia mai avuto.
Laura Linney: Le cose che quell’uomo ha realizzato nella sua vita…! Era carismatico, vibrante, bello, intelligente, e machiavellico… la gente lo amava, amava stargli vicino. La mia scena preferita del film è quella fra Bill Murray e Sam West nei panni di Roosevelt e del Re.
Samuel West: Avere l’opportunità di fare una lunga scena a due con Bill Murray? Davvero non so come ringraziarvi: questa è una di quelle cose da raccontare ai nipoti. Bill è stato meraviglioso e generoso; abbiamo fatto varie prove filate dell’intera scena.
Laura Linney: E’ una scena fra questi due uomini potentissimi che hanno entrambi handicap invalidanti, e trovano quell’ intesa reciproca che può prodursi solo fra persone che hanno problemi affini.
Samuel West: Bertie aveva cominciato a superare la sua balbuzie a quell’epoca, ma il problema lo rendeva ancora timido nel parlare in pubblico e in circostanze del genere la balbuzie poteva ancora ripresentarsi in modo piuttosto sensibile. Quando era con qualcuno che gli piaceva e di cui si fidava, il problema si presentava più di rado.
Bill Murray: Leggendo tutto il background di Bertie e Elizabeth, sembra che ci fosse un grande amore fra loro.
Samuel West: Lui la rispettava, e lei gli dava sicurezza. Altre persone avrebbero voluto sposare Elizabeth, ma lei disse di sì a Bertie. Ho la sensazione che – con i figli che sono riusciti a tirare su – la loro famiglia segni l’inizio dell’idea della Famiglia Reale come famiglia, e non come accolita di figure di rappresentanza e simboli di status.
Olivia Colman: Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Re e la Regina rimanevano nel palazzo durante tutti i bombardamenti e poi uscivano per recarsi nell’East End a stringere le mano alle persone. Erano in sintonia con la gente, e questo è un tratto che hanno in comune con un altro leader molto popolare, Franklin Delano Roosevelt.
Simon Bowles: Quando mi è stato chiesto di prendere parte a questo progetto, mi sono subito reso conto di quanto sarebbe stato importante visitare sia Springwood sia il Top Cottage, oltre che la cittadina vicina e la campagna circostante. Le pagine web, in questi casi, sono di grande aiuto, ma andare davvero sui luoghi e vederli con i propri occhi è tutt’altra cosa. C’è un’infinità di dettagli che siamo riusciti ad aggiungere. E’ stata anche l’occasione per incontrare Richard Nelson – e lui e sua moglie, che mi hanno ospitato, sono stati deliziosi con me. Da quando Springwood è diventata monumento nazionale negli anni ’40, non non ha subito praticamente nessuna alterazione. Siamo andati nelle cucine, nelle camere da letto, nello studio… tutti i dettagli d’epoca erano lì intatti. Esistevano già delle foto, pubblicate da Life, della casa nel 1939, l’anno in cui si svolge il film, e quindi c’era già una documentazione fotografica dell’arredamento. Ma le foto erano in bianco e nero, e recandoci sui luoghi abbiamo potuto vedere gli ambienti con i colori originali. Ho misurato gli ambienti, ho fatto fotografie che ho riportato con me in Inghilterra, dove Springwood è stata ricreata in una residenza privata.
Kevin Loader: Ne abbiamo trovata una a 10 miglia da Londra, e non ci è parso vero. Significava che non dovevamo spendere una fortuna per trasferire la troupe in mezzo al nulla. Quello che ci eravamo augurati di trovare era già lì dentro.
Simon Bowles: Avevo fotografato le persiane a Springwood, e le abbiamo riprodotte . Poi c’erano gli uccelli imbalsamati che Roosevelt aveva realizzato da ragazzo, e abbiamo inserito anche quelli. La residenza originale era arredata con un mix eclettico di stili, un po’ un’accozzaglia, molto più di quanto si possa immaginare; non bisogna dimenticare che era stata la casa di sua madre e lui stesso, lì, era un ospite.
Kevin Loader: Durante la sua presidenza, divideva il suo tempo fra la Casa Bianca e casa di sua madre, dov’era circondato da tute le donne significative della sua vita.
Elizabeth Wilson: Io sono molto fiera di aver interpretato Sara Delano Roosevelt, la madre del Presidente. La sua famiglia ne ha passate tante, sul piano fisico ed emotivo – e avrebbero avuto anche problemi economici, ma lei era molto facoltosa. Le cose, forse, non sarebbero andate nello stesso modo per Franklin se non fosse stato per la determinazione di lei a sostenere economicamente la famiglia.
Bill Murray: Starei ad ascoltare Elizabeth Wilson all’infinito. Sa migliaia di storie: “Okay, a proposito di Jason Robards…” la madre di Roosevelt era una donna molto forte, ed Elizabeth è abbastanza anziana da poter essere mia madre. Perciò, quando Olivia Williams recitava delle scene con lei nei panni di Eleanor, c’era decisamente un sottotesto; tutti dovevano essere deferenti.
Olivia Williams: Io recitavo il ruolo di una donna la cui suocera dominava quella che era (risate) un’ organizzazione domestica decisamente fuori dall’ordinario.
Elizabeth Wilson: La mia sensazione è che Sara sapesse bene quello che stava accadendo, e che era perfettamente in grado di gestirlo. Franklin era figlio unico, e lei lo amava moltissimo.
Elizabeth Marvel: Moltissimi presidenti americani – Bill Clinton, Barack Obama, Franklin Delano Roosevelt – hanno avuto un rapporto molto profondo con la propria madre. Queste donne hanno avuto un ruolo dominante nella vita dei propri figli. E anche Eleanor è stata una forza trainante nel campo dei diritti delle donne.
Bill Murray: Penso a quanto ha impressionato l’Ammiraglio Halsey, che comandava le truppe nel Pacifico, per le cose che ha fatto durante la Seconda Guerra Mondiale, andando a visitare le truppe e lavorando come rappresentante della Croce Rossa. Io ho la sensazione che al cuore della relazione tra Franklin e Eleanor ci sia il tipo di educazione che li ha formati. A lui è stato insegnato a non aver paura, e a lei si deve la famosa frase: “ogni giorno fa’ una cosa che ti spaventa“. Fin da piccoli, è stato insegnato loro che dovevano realizzare qualcosa nella vita. Non erano una coppia tradizionale. Sapevano che il loro rapporto era una cosa diversa, che se fossero stati uniti e avessero lavorato fianco a fianco avrebbero realizzato più facilmente quello che entrambi si erano prefissi.
Olivia Williams: Io anni fa avevo fatto Rushmore con Bill, quindi avevamo un preesistente rapporto d’amicizia – che è stata una cosa utile per A Royal weekend, perché a questo stadio del loro matrimonio, i Roosevelt avevano raggiunto una profonda comprensione e accettazione reciproca. Politicamente, lei agiva da suo emissario, viaggiando in posti dove lui non avrebbe potuto recarsi; lui ascoltava le sue idee e ne incorporava alcune nel programma di governo.
Bill Murray: Con l’acconciatura, i vestiti e le perle, Olivia sembrava magicamente Eleanor e non più sé stessa. Si è immersa pienamente nel ruolo.
Morag Ross: Olivia ha un aspetto diverso da quello di Eleanor ed è più giovane di quanto lei non fosse all’epoca, quindi è stata una sfida. Roger ed io eravamo d’accordo di agire con delicatezza. Quindi ho lavorato su un leggero invecchiamento della bellissima pelle di Olivia e ho cambiato la sua dentatura perché corrispondesse a quella di Eleanor.
Olivia Williams: Alla prima lettura avevo indossato la mia protesi dentale e l’accento è andato a farsi benedire. Fortunatamente abbiamo avuto un congruo periodo di prove.
Elizabeth Wilson: Ogni giorno sedevamo a leggere diverse sezioni del copione e abbiamo avuto modo di conoscerci fra una tazza e l’altra di caffè o di tè o spizzicando snacks. Era una cosa molto rilassante. Abbiamo letto tutta la sceneggiatura insieme, subito prima di iniziare le riprese.
Olivia Williams: Io credo nella ricerca anche ossessiva attorno al personaggio ma Roger non voleva che facessi un’imitazione perfetta di Eleanor. Ho ascoltato i suoi discorsi, ma in questi lei adottava il suo caratteristico tono ufficiale. Avevo supplicato, anche in modo un tantino indecoroso, di prendere parte a questo film. Ma mi sono sentita molto intimidita nell’interpretare un personaggio del calibro di Eleanor: ha fatto così tanto per i diritti civili e i rapporti razziali, usando la sua posizione di First Lady per aiutare gli altri. Volevo renderle giustizia, e ho avuto anche l’opportunità di esplorare questa figura di fama mondiale in una situazione domestica, in cui aveva meno potere; la sua camera da letto, tanto per dirne una, era il guardaroba di sua suocera. Eleanor non aveva mai un atteggiamento di superiorità verso le persone. Si rifiutò di fare riverenze al Re e alla Regina semplicemente perché riteneva che nessuno dovesse essere oggetto di riverenza. Questi erano i suoi principi e io ho cercato di far emergere questi aspetti con dignità e senza alcuna piccineria.
Morag Ross: Roger aveva trovato un’immagine di Eleanor al famoso picnic, in cui aveva i capelli sciolti e ha detto che avrebbe voluto catturare questa qualità volatile della sua capigliatura, evitando acconciature eccessive.
Olivia Williams: Volevo che fosse un po’ scarmigliata, che questo dimostrasse la sua attitudine informale: Anche quando si impegnava a metterli in ordine, i suoi capelli finivano per apparire fuori controllo.
Morag Ross: Norma Webb, la hair designer del film, ha fatto un lavoro straordinario. Non sono state usate parrucche; Norma ha adattato e tinto i capelli degli attori: Roger voleva che i capelli apparissero più naturali possibile. Il Re e la Regina dovevano apparire più curati e perfetti degli americani, dal punto di vista dell’acconciatura. E’ stato bellissimo vedere Sam West e Olivia Colman con questo look d’epoca consacrato da tante immagini e pensare: “Funziona!“. Ma Roger d’altro canto non voleva nemmeno ricreare dei sosia: si trattava di cogliere l’essenza dei personaggi reali. Il viso di Roosevelt è ben noto, quindi ho fatto realizzare dei piccoli posticci del melanoma sul sopracciglio sinistro e del neo sulla guancia destra. Bill mi ha chiesto di avere l’aspetto di una persona che è stata molto all’aria aperta, perché Roosevelt amava molto esporsi al sole ogni volta che ne aveva occasione.
Simon Bowles: I mobili in casa testimoniano la storia familiare e sono indizi del carattere dei Sara e della sua influenza. Roger, il direttore della fotografia Lol Crawley ed io dovevamo sempre essere molto attenti a far sì che gli spazi consentissero agli attori e alla troupe piena libertà di movimento, inclusa la possibilità di movimenti di macchina a 360 gradi. Abbiamo aggiunto alle finestre persiane del tipo diffuso in quella regione a nord di New York, una classica balaustra al di sopra del patio, bandiere e pennoni di fronte alla casa, e abbiamo rimpiazzato la ghiaia sul vialetto d’accesso.
Bill Murray: Il bello della ghiaia dei ricchi è che puoi camminarci sopra senza farti male ai piedi. E’ come fare riflessologia.
Kevin Loader: Sapevamo di non poter ricostruire la casa mattone per mattone, così ci siamo concentrati sulle dimensioni e sull’atmosfera.
Bill Murray: Essendo il primo Presidente ad aver sfruttato tutte le potenzialità del mezzo radiofonico, Roosevelt aveva l’abitudine di trasmettere questi messaggi alla nazione dal tono molto colloquiale (noti appunto come “Fireside Chats“, ‘chiacchierate al focolare’), seduto al tavolo da pranzo dove i microfoni venivano piazzati dopo che la famiglia aveva cenato. Parlava all’America come se fosse il padre a capotavola che parla alla famiglia.
Simon Bowles: Per la scena del “Fireside Chat” in cui pronuncia il suo messaggio alla nazione dalla sua scrivania, abbiamo portato dei microfoni originali dagli Stati Uniti. Per quanto riguarda gli oggetti sulla scrivania, il mio formidabile reparto attrezzeria ha fatto molte ricerche per trovare l’esatto aspetto della collezione di francobolli, ivi compreso l’album che la conteneva, dal momento che hanno un ruolo chiave nella scena in cui Daisy incontra per la prima volta Roosevelt.
Esistono delle foto della collezione di francobolli di Roosevelt, ma la collezione stessa è stata venduta all’asta qualche tempo fa , e a quanto pare i francobolli non valevano poi molto perché non collezionava pezzi speciali: in realtà era più un hobby.
Non potevamo fare a meno di avere il grande ritratto ad olio di Roosevelt che era appeso nel suo studio, così Nicola Dove (Fotografo) ha ritratto Bill nella stessa identica posa del quadro. Spesso Bill doveva parlava e agire da personaggio durante le lunghe sessione fotografiche, e questo richiedeva molta pazienza, ma lui è stato molto generoso. Ha dato consigli importanti per ottenere il risultato giusto. Quando abbiamo avuto la foto definitiva ed è stata stampata su tela, sembrava davvero il ritratto originale. Per ricreare il Top Cottage, la casetta in cui Presidente avrebbe voluto ritirarsi per scrive romanzi polizieschi, abbiamo costruito un cottage da zero in una radura nelle Chilterns (colline situate a sudovest di Londra). Avevamo disegni e modellini dell’originale, comprese figurine di plastica dei personaggi. Ne è risultata una scenografia di grande effetto. Roger aveva preso l’abitudine di sedersi sulla veranda a leggere il giornale.
Bill Murray: Nell’arco di poche settimane sono passato daI visitare per la prima volta il vero Top Cottage al ricreare la sua replica. Perfino la vista dall’altura era molto simile a quella originale.
Kevin Loader: Il Top Cottage rappresentava un autentico ristoro per Roosevelt. E’ lì che andava a ricaricarsi. Incoraggiava gli amici a ad acquistare lotti di terra contigui e a costruire i loro cottage nei paraggi e quindi ha dato un grande impulso alla crescita della Hudson Valley.
Simon Bowles: In quella location, dovevamo sapere dove andasse ogni cosa per il picnic. Abbiamo una documentazione del programma del party, accuratamente redatto perché non ci fossero sorprese: “I drink saranno preparati qui, i piatti saranno lì…” Dovevamo anche sapere dove i personaggi dovessero sedere, ovviamente – proprio come in quel giorno del 1939. Io avevo delle foto del picnic appese al muro. Tutti andavano a guardarle come riferimento. Qualcuno al picnic aveva anche scattato qualche foto dei propri figli, catturando il senso di eccitazione infantile “sullo sfondo“. Si colgono diversi momenti di intesa fra il Re e la Regina.
Kevin Loader: Abbiamo avuto cento comparse per la scena. Le Chilterns, con loro boschi di faggi, rappresentavano un buon corrispettivo dell’originale. Si avvertiva un clima di affinità culturale ancora prima che si creasse sullo schermo.
Samuel West: Le foto del picnic mostravano che ad un certo punto Bertie si era tolto la cravatta. Fare un gesto simile in un’occasione ufficiale aveva un grosso valore simbolico. Quindi abbiamo pensato di inserire questo momento: lui che entra in sintonia con lo spirito americano e pensa: “forse di questa posso fare a meno.“
Morag Ross: E’ stata una gran soddisfazione camminare sul set quel giorno; si aveva davvero la sensazione di aver raggiunto un traguardo artistico. Si vedeva il contributo di tutti, il lavoro di dozzine di persone, convergere nel bel risultato finale.
Laura Linney: Quando ho sentito che il film si sarebbe girato in Inghilterra ho pensato: “credo che la cosa possa funzionare molto bene“. Avremmo ri-creato un’altra era e un’altra epoca. Fra l’altro sembra proprio Hyde Park; con quegli alberi sparsi qua e là. Alla fine delle riprese mi è mancata l’Inghilterra. Erano tutti straordinari laggiù.
Kevin Loader: L’unico peccato era che non ci fossero più giornate di sole. Ma le persone si sono divertite; hanno socializzato, e a fine giornata andavano a teatro insieme. Roger ed io abbiamo fatto molti film, ma qui portavamo attori americani a lavorare con attori inglesi. Un po’ l’opposto di quello che accade nel film.
Bill Murray: Come regista Roger ti fa delle domande molto semplici, fa in modo che tu dica spesso dei “sì“, e poi non si ferma finché non ha ottenuto quello che vuole – che è buona cosa. Ti senti a tuo agio.
Samuel West: Roger ha chiesto, per le nostre scene insieme, che Bill improvvisasse delle piccole reazioni, anche verbali, in modo tale che io fossi leggermente sorpreso e pronto a reagire a quello che accadeva sul momento. Ogni ciack aveva così una sua freschezza. Questa è la quarta volta che lavoro con Roger. E’ molto attento, e crea un’atmosfera protetta sul set. Durante il nostro primo film insieme, Persuasione, stavamo girando una scena e mi ha detto: “No, non così, è troppo. Quello che cerchiamo è ambiguità, non confusione“. Questa rimane forse la mia nota di regia preferita di tutti i tempi.
Olivia Williams: Per me, A Royal Weekend ha le stesse qualità di Persuasione, nel senso che Roger coglie perfettamente quanta passione e quante implicazioni possano celarsi dietro una impeccabile facciata sociale. Volevo lavorare con Roger perché volevo essere diretta; volevo qualcuno che mi dicesse se sbagliavo qualcosa – cosa che lui fa, e con estremo garbo!
Elizabeth Wilson: Credo che Roger si diverta a fare il suo lavoro, perché sorride molto; molti registi non sorridono mai. La sua tecnica è fare molti ciack di una stessa scena, che è fantastico. Io avevo piena fiducia in lui.
Samuel West: Quando ti dà delle indicazioni, tipo: “Prova a far questo, in quella battuta“, ti viene subito voglia di usare il suo suggerimento.
Laura Linney: Roger mi ha dato molte ottime indicazioni nel corso del lavoro. E’ bravissimo ad osservare ogni singola ripresa; letteralmente scrive le note di regia e poi viene da te. La maggior parte dei registi non lo fa. Lui vede quello che fai, o che cerchi di fare, e ti aiuta a farlo meglio.
David Aukin: Laura porta una tale energia positiva sul set, un tale calore e un atteggiamento così amichevole, che raccomanderei la sua presenza sul set qualunque sia il film.
Olivia Colman: Il suo personaggio, Daisy, è al centro della storia. Lei riesce a mostrare negli occhi di Daisy le sue ferite. Ma anche l’adorazione per Roosevelt.
Laura Linney: Richard sa come scrivere per gli attori. La storia esplora il modo in cui le persone si pongono nei confronti della fama e del potere. Qual è la psicologia della fama? Come condiziona giorno per giorno la tua vita, le tue decisioni, e il modo in cui tratti le persone? Nel film, Daisy è spesso silenziosa. Da molti punti di vista lei è Alice nel Paese delle Meraviglie. Si ritrova in un mondo di grosse personalità, e osserva.
Morag Ross: Il look di Laura nel film è un po’ più informale di quello della vera Daisy. La nostra Daisy è più effimera, mentre la vera Daisy era impeccabile, senza mai un capello fuori posto.
Elizabeth Marvel: Tutti noi abbiamo fatto un po’ di ricerche, ma Laura è arrivata preparatissima [ride]. Poi quello che abbiamo dovuto fare tutti è mettere da parte il lavoro preparatorio e recitare la verità delle emozioni.
Laura Linney: Io sono sempre stata molto affascinata dai Roosevelt, e in particolare da Eleanor, e dalla loro era. Ho visitato Hyde Park molte volte. Ma non sapevo niente di Daisy Suckley. Quando questo copione mi è arrivato, sono stata felice che si facesse questo film, a prescindere dalla mia eventuale partecipazione. Nel 1939, la famiglia di Daisy aveva perso ormai gran parte del suo patrimonio. Suo padre era morto, e lei aveva un gran numero di fratelli e sorelle, quindi Daisy si è assunta la responsabilità di tutta la famiglia. E’ andata a lavorare per sua zia, (Mrs. Woodbury Langdon) come segretaria e dama di compagnia. I suoi piccoli guadagni venivano passati alla famiglia per aiutarla a mantenere la loro casa – la grande villa in cui vivevano. Ho trascorso un po’ di tempo nella proprietà, così carica della storia familiare di Daisy, e questo mi ha fatto scoprire tante cose su di lei e sulle sue attitudini. Ho visto la sua camera da letto. Ho visto libri sui suoi scaffali, e mi sono fatta un’idea dei suoi interessi.
Bill Murray: Quando leggi i suoi diari e le sue lettere, ti rendi conto di quello che Roosevelt ha condiviso con lei, che rappresentava per lui una persona di assoluta fiducia, sul cui sostegno avrebbe sempre potuto contare, In certi momenti il suo lavoro deve essere stato il più solitario del mondo. Il Top Cottage è stato costruito pensando alla sua vita dopo la politica. Ma questo non accadde mai: ci sono stati due mandati (come presidente), poi un terzo, poi un quarto. E’ morto sul palcoscenico del mondo, lasciando, nel 1945, un’America diversa da quella che aveva trovato nel 1933. Io invidio questo tipo di coraggio.
Intervista a Bill Murray, Roger Michell e Richard Nelson – A Royal Weekend