Indiana Jones e il quadrante del destino, la recensione
'Indiana Jones e il quadrante del destino' non è un film perfetto, ma rimane fedele al personaggio di Harrison Ford, fino alla fine
di Erika Pomella / 22.06.2023 Voto: 6/10
Non è mai facile approcciarsi alla recensione di un film inerente un’icona del cinema come il personaggio di Indiana Jones. Lo è ancora meno quando si deve scrivere di una pellicola che rappresenta la chiusura del cerchio, quel punto alla fine della frase che segnala come i tempi siano inevitabilmente cambiati e, con essi, anche il cinema, che ora prende commiato dall’eroe che ha saputo raccontare tanto bene l’avventura sul grande schermo. In una recensione di Indiana Jones e il quadrante del destino non ci si può esimere dal considerare anche il contesto e non solo l’opera in sé. In un mondo perfetto, un critico si fermerebbe sempre e solo ad analizzare il lungometraggio in uscita: le doti e i difetti, i punti di forza e quelli che funzionano meno. Ma nel caso di questo specifico film non si può fare, non funziona così.
Indiana Jones è un personaggio leggendario prima ancora di arrivare sul grande schermo: è un personaggio nato su una spiaggia delle Hawaii, mentre George Lucas tremava per paura che Guerre Stellari si sarebbe rivelato un fiasco, e Steven Spielberg, col compito di consolarlo nell’eventualità più nefasta, confessava di voler fare un film à la James Bond. All’improvviso due delle menti che sono dietro all’idea del cinema per come è concepita non solo nell’ultimo ventennio del Novecento ma fino ad oggi avevano dato via a un personaggio che non è più solo tale: Indiana Jones è diventato il simbolo del buon cinema d’avventura, è diventato un’icona, qualcosa che trascende qualsiasi ancoraggio a una dimensione umana e che invece anela alla leggenda. Proposito non così fuori dalla sfera del possibile, dato che dopo quarant’anni dall’uscita de I predatori dell’Arca Perduta siamo ancora qui a guardare Harrison Ford e il suo iconico cappello mentre sfida l’impossibile per salvare la storia. Presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes e in arrivo in sala in Italia il prossimo 28 giugno, Indiana Jones e il quadrante del destino rappresenta il punto d’arrivo di tutto questo, il traguardo di una cavalcata durata per quattro decenni e che ha dunque il sapore dolce amaro di un addio.
Indiana Jones e il quadrante del destino: la trama
La pellicola diretta da James Mangold inizia ambientato nel 1944. Indiana Jones (con un Harrison Ford ringiovanito dalla CGI) sta cercando di sottrarre ai nazisti la lancia di Longino, la lancia la cui punta si bagnò del sangue di Gesù in croce, che Hitler vuole assolutamente, convinto com’è che il manufatto abbia dei poteri che gli possono permettere di diventare una sorta di superuomo e, in definitiva, di vincere una guerra che ormai gli è scappata dalle mani. Da una fortezza dei nazisti fino a un inseguimento in treno che sembra richiamare i primi film della saga, Indiana e il suo collega Basil Shaw (Toby Jones) si rendono conto che la lancia è un falso e che il vero tesoro presente sul treno è il quadrante del destino o la macchina di Antikythera, un manufatto creato da Archimede che si dice abbia il potere di individuare gli ingressi ad alcuni portali temporali. L’invenzione interessa anche il professore tedesco e nazista Jürgen Voller (Mads Mikkelsen) che, vent’anni dopo e sotto un nuovo nome, lavora alla NASA ed è uno degli autori della presenza dell’uomo sulla Luna.
Il film, infatti, si sposta proprio al 1969 e al giorno in cui l’America rimase con il naso all’insù, in attesa dell’allunaggio. Reduce dalla sua festa di pensione, mentre New York si riempie di parate per festeggiare (o per protestare), Indiana viene raggiunto da Helena Shaw (Phoebe Waller-Bridge), figlia di Basil e sua figlioccia che gli parla del quadrante del destino che tanto aveva fatto impazzire suo padre. Senza saperlo, senza nemmeno immaginarlo, Indiana Jones si troverà invischiato in una nuova caccia al tesoro, mentre cerca di schivare non solo il tradimento iniziale della cinica Helena, ma anche l’apparizione di Voller sulla sua strada.
Un’epopea sul tempo che passa
I film di Indiana Jones hanno sempre richiesto una certa sospensione dell’incredulità e una dose ancora maggiore di fede. In effetti, è quello che dice Harrison Ford stesso in questa ultima pellicola: Non importa in quello in cui credi, ma la forza con cui ci credi. Indiana Jones e il quadrante del destino è una pellicola che non funziona sempre e che spesso si perde in alcuni “scivoloni” che fanno ridere anche nelle scene in cui la risata non è richiesta. Allo stesso tempo, però, è un film che chiede un patto di lealtà con lo spettatore: la storia non è fatta (solo) per intrattenere, ma è anche un’ultima scorribanda da fare insieme, è un’ultima avventura pensata per essere nient’altro che questo: una lunga danza d’addio. L’epiteto lungo non è usato a sproposito visto che con i suoi circa 143 minuti di durata il quinto capitolo di Indiana Jones appare un po’ troppo allungato e avrebbe beneficiato di qualche taglio in più fase di montaggio. Tuttavia, l’avventura rimane al centro dello schermo: pieno di autocitazioni che faranno la gioia di chi, con la trilogia principale, ci è cresciuto, con un Harrison Ford che continua ad essere molto credibile mentre dà la caccia ai nazisti, Indiana Jones e il quadrante del destino è un film che parla del tempo, di questo nemico che non potremo mai riuscire a sconfiggere. Un tema che viene affrontato anche dal modo in cui l’eroe protagonista si lamenta della sua età, di quella prestanza fisica che non è più quella di una volta. Il tempo è il vero ladro contro cui Indiana Jones non può fare niente: ha passato la sua vita a giocare/lavorare/sfidare gli strumenti del tempo, le reliquie della storia. Eppure è invecchiato lo stesso, il tempo è andato avanti e lo ha lasciato indietro, come se non fossero mai esistite le avventure precedenti, di cui Indiana Jones continua a parlare perché forse ha bisogno di ricordarle prima di tutto a sé stesso. Anche quando si prova ad imbrogliarlo e imbrigliarlo attraverso uno strumento meccanico creato da un matematico di un’altra epoca, il tempo trova il modo di scappare di nuovo, di rimanere una creatura che non può essere fermata. E in questo senso forse potremmo dire che il tempo è il vero villain di questo quinto capitolo, ed è l’unico che sia riuscito a battere Indiana Jones.
Come dicevamo qualche riga più su, Indiana Jones e il quadrante del destino è un film lontano dall’essere perfetto: anche il personaggio di Phoebe Waller-Bridge, che dovrebbe apparire spumeggiate e divertente, a tratti è così macchiettistica da risultare non solo falsificato ma anche uno difficile con cui entrare in empatia. Allo stesso modo alcune scelte e svolte narrative sono davvero al di sopra della capacità dello spettatore di credere alla magia sullo schermo senza farsi domande. Detto questo, però, Indiana Jones e il quadrante del destino rimane un’avventura incredibile, di quelle che ti fa sentire ancora come se avessi tredici anni e sulla soglia dell’estate ti fa sognare ad occhi aperti di trovare una mappa e poter partire alla ricerca di quei tesori che il tempo lascia sparsi nel mondo a segnalare il proprio passaggio.