The Dissident, video intervista al regista Bryan Fogel
Lingua: Italiano | Durata: 00:06:36 |Per gentile concessione di Lucky Red, una breve intervista video realizzata al regista Bryan Fogel, che firma The Dissident, film che racconta la storia dell'omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Kasshoggi.
Per gentile concessione di Lucky Red, una breve intervista video realizzata al regista Bryan Fogel, che firma The Dissident, film lanciato in Italia in esclusiva su MioCinema e che racconta la storia dell'omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Kasshoggi. Finanziato dalla Human Rights Foundation, The Dissident è una docu-indagine dettagliata che mette a nudo le colpe del regime saudita e che commuove portando sul grande schermo la vicenda umana, oltre che politica, del grande giornalista.
D: Come è nata l'idea dl film?
B. Fogel: Stavo cercando un nuovo progetto dopo 'Icarus' e ho stilato mentalmente un elenco delle cose che per me sono essenziali per stimolarmi a sviluppare un soggetto dedicandomi a esso anima e corpo. Nel periodo immediatamente successivo all'omicidio di Jamal ho visto una storia sulla libertà di stampa, sulla libertà di parola, sulla libertà di giornalismo, sulla libertà di pensiero, sulla libertà di opinione. E su un giornalista del 'Washington Post' di 60 anni che era stato assassinato per aver detto cose vere ai potenti. La sua storia mi ha conquistato come mi ha conquistato la storia di Hatice Cengiz, la sua fidanzata. Pochi giorni dopo l'assassinio di Jamal, il 'New York Times' pubblicò un articolo su Omar Abdulaziz, il giovane dissidente saudita che vive in autoesilio a Montréal, in cui Omar sosteneva di sapere perché Jamal era stato ucciso e si sentiva in parte responsabile del suo assassinio perché avevano lavorato insieme.
D: Cosa ha significato per te raccontare questa storia?
B. Fogel: Questa storia ha stimolato in me il desiderio di fare film che abbiano un componente di attivismo. A maggior ragione avendo vissuto il quadriennio dell'amministrazione Trump, durante la quale abbiamo visto la nostra libertà di stampa messa alla prova, le nostre libertà di parola e di opinione messe alla prova, la stampa libera messa alla prova, questa storia ha assunto un carattere di urgenza. E ha generato in me una richiesta di giustizia. E in quanto cineasta, poiché tale mi considero innanzitutto e soprattutto, e utilizzo il cinema come mezzo per raccontare storie e mi auguro siano storie in grado di avere un impatto e produrre un cambiamento, questa storia rispondeva a tutte queste mie priorità.
D: Chi non vuole che questa storia venga raccontata?
B. Fogel: Non so chi abbia così paura di questa storia al punto di censurarla. Tuttavia, so che il film non è stato acquisito per le vendite internazionali, nonostante critiche entusiastiche al Sundance Film Festival e su centinaia di testate giornalistiche. Dunque è chiaro che c'è stato il desiderio di impedire che il film avesse una distribuzione capillare e mondiale.
D: Pensi di essere riuscito a risalire al movente di questo omicidio?
B. Fogel: Penso che il film risponda a queste domande. Basta vedere il film, che illustra le sue intenzioni e motivazioni, sicuramente senza giustificarle. Ad ogni modo, in anni recenti, i governi autoritari e le dittature hanno dimostrato di essere capaci di comportamenti estremamente spietati per mettere a tacere le voci critiche e i dissidenti. Questo genere di azioni, intraprese da regimi autoritari, non èè una novità. QUello che è più scioccante in questo crimine è la brutalità con la quale è stato perpetrato l'omicidio e il tentativo di insabbiamento.
D: Senti che con il tuo film hai ottenuto gli obiettivi che ti eri prefissato?
B. Fogel: Sono passati due anni e quattro mesi dall'assassinio di Jamal e la fine del film riflette ancora la situazione attuale. Non è stata fatta giustizia. Nè sono state accertate le responsabilità per l'omicidio. A quanto pare l'amministrazione Biden sta ottimisticamente contemplando di intraprendere azioni.