Prison 77, recensione film di Alberto Rodríguez
'Prison 77' è un film ben interpretato, acceso di violenza, che può essere utile per scoprire una pagina nera della società spagnola, ma soprattutto per riflettere di quanto la democrazia a volte sia un'illusione piena di dolore.
di Erika Pomella / 05.10.2022 Voto: 7/10
Diretto da Alberto Rodriguez e distribuito in Italia da Movie Inspired, Prison 77 è una pellicola tratta da una storia vera, una pagina vergognosa della storia spagnola, che racconta il paradosso e le incoerenze di un paese appena uscito dalla dittatura. Alla fine degli anni '70 la Spagna assiste alla caduta del regno del terrore del Generalissimo Franco e sulle strade si festeggia la ritrovata libertà, quel sentimento diffuso di gioia nel poter assaporare la democrazia. Ma la libertà è comunque un bene effimero e aleatorio, che non appartiene a tutti. Coloro che non rispecchiano i canoni del paese – che sia per orientamento politico o religioso, per il tipo di lavoro o di estrazione sociale – vengono arrestati e chiusi in carcere con pene che sono esagerate per i crimini commessi. Manuel (Miguel Herrán) viene imprigionato per aver intascato 1200 euro e tra le mura di una prigione che all'esterno viene vista come "istituto modello" assiste alla violazione dei più basilari diritti umani, scoprendo che le guardie sono spesso più corrotte dei criminali che sono chiamati a sorvegliare. Rendendosi conto di non poter fare affidamento sulla protezione di uno Stato che gli ha voltato le spalle, Manuel si alleerà con Pino (Javier Gutiérrez) per creare un movimento che abbracci tutte le prigioni e abbia come obiettivo ultimo la libertà.
Questa, in breve, è la trama con cui Prison 77 si presenta al pubblico, con una trama che, ripercorrendo le tappe di un'incredibile storia vera, aderisce con precisione al genere cinematografico penitenziario, riproponendo lo schema narrativo che contrappone guardie e criminali, etica e corruzione. Questo fa sì che la visione del film non lasci mai davvero indifferenti. Soprattutto nella prima parte si ha un fortissimo senso di rabbia e impotenza, che spinge lo spettatore a sviscerare una forte empatia per il protagonista e per quello che è costretto a subire. In questo senso Prison 77 è una pellicola piena di quei trigger warning che è sempre bene sottolineare per non correre il rischio di ferire troppo la sensibilità di chi guarda. Non è un film facile né un film che offre facili rassicurazioni: al contrario Prison 77 è un film che insiste proprio sul lato più oscuro dell'umanità, quello che si piega al potere e si trasforma in bullismo contro chi è in una posizione di debolezza. Una pellicola che cerca proprio questa cupezza anche nella messa in scena, che molto spesso si affida a una fotografia fredda, che spazia dal grigio al tortora, in cui il colore acceso e pastello si affaccia davanti alla macchina da presa solo in quei rari, brevi e spaventosi momenti in cui la speranza si insinua nello sguardo sempre più rassegnato dei protagonisti.
Un altro punto forte del film – che forse è appena un po' troppo lungo – è senza dubbio da ricercare nelle interpretazioni dei due protagonisti assoluti, che riescono a restituire apparentemente senza sforzo i mille volti di una lotta impari, quello scontro biblico tra Davide e Golia che sembra senza possibilità di riuscita e che pure deve essere portato avanti, affrontato per aver salva non tanto la vita quanto il desiderio e la speranza di poterla avere, una vita. Gli interpreti di Manuel e Pino sono bravi da questo punto di vista, dimostrano coi loro volti le sofferenze di chi combatte pur senza avere certezza della vittoria: due uomini diversi, per estrazione e temperamento, che si trovano a combattere dalla stessa parte della barricata. Prison 77 è dunque un film ben interpretato, acceso di violenza, che può essere utile per scoprire una pagina nera della società spagnola, ma soprattutto per riflettere di quanto la democrazia a volte sia un'illusione piena di dolore.