[Roma 2016] Denial, la recensione
'Denial' è un legal-drama che pesca nella storia, che la racconta attraverso una sceneggiatura satura di dialoghi e monologhi, che racconta l'orrore dell'Olocausto da un punto di vista che punta più alla storia che alla (facile) emotività.
di Erika Pomella / 23.10.2016 Voto: 8/10
Tratto dal famoso libro History on Trial: My Day in Court with a Holocaust Denier, Denial, presentato all'interno dell'undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, racconta la storia vera della storica Deborah Lipstadt (interpretata da Rachel Weisz), che viene chiamata in causa per diffamazione dal negazionista dell'olocausto David Irving (Timothy Spall), a cui non viene riconosciuto lo status di storico e che non viene preso sul serio dalla Lipstadt, che in quanto storica ed ebrea è davvero poco incline ad accettare i vaneggiamenti di un uomo che nega l'uccisione di un popolo attraverso i campi di sterminio e, soprattutto, inneggia ad Hitler, ritenendolo all'oscuro di quello che i suoi sottoposti stavano facendo in giro per l'europa.
Il film di Mick Jackson (regista famoso soprattutto per Guardia del corpo) si concentra proprio sulla lotta legale a Londra tra la Lipstadt e Irving; una querelle che ben presto abbandona i toni inerenti la diffamazione e si trasforma in una difesa della verità, della storia e, soprattutto, nella lotta per rendere giustizia ai sopravvissuti di quel periodo nero che fu l'Olocausto. Nella sua battaglia contro il negazionista, Deborah Lipstadt fa affidamento su una piccola schiera di avvocati e storici, e soprattutto sull'aiuto di Anthony Julius (il Moriarty di Sherlock Andrew Scott) e dell'avvocato Richard Rampton (Tom Wilkinson). Attraverso una ricostruzione attenta dei fatti, visite al campo di sterminio di Auschwitz e una precisione assoluta nello studiare le fonti (anche in tedesco), la Lipstadt troverà il modo di difendere il proprio lavoro, ma, soprattutto, la veridicità di una storia che non smette mai di inorridire.
Nonostante i richiami ai campi di sterminio, a Hitler e a tutto ciò che ha fatto dell'Olocausto una delle pagine più nere della storia moderna, Denial non è propriamente un film "sugli ebrei". In questo senso è stato saggio, da parte del regista, decidere di non soffermarsi troppo sul dolore dei sopravvissuti, cercando invece di dipingere un quadro quasi freddo, che parlasse attraverso i suoi monologhi legale. Più che un film sulla memoria, infatti, Denial è un film sulla memoria storica, sull'importanza dello studio, e sul peso che la verità dovrebbe sempre avere nella vita storica di ogni epoca. Il film, infatti, sembra riflettere più su questo lato: su quanto sia importante difendere la verità e su come la Storia sia un mostro informe in grado di cambiare il proprio volto a seconda di come la si manipoli. Ci piace pensare che i fatto siano fatti, ma è vero anche quel monito secondo cui la Storia la fanno i vincitori; in questo caso, però, sono coloro che hanno "perso" che cercano di manipolarla. David Irving difende un mondo indifendibile: nel suo essere razzista, antisemita e dalla mente chiusa quasi ermeticamente, è così convinto di essere il frutto di un complotto che gioca al massacro, che finisce col credere veramente a quello che racconta, assegnando il titolo di verità a fonti che lui stesso ha consapevolmente manipolato. Ed è questo l'aspetto più terrificante: la cieca fedeltà che si può dedicare a quelle che sono evidentemente delle menzogne. E da questo punto di vista Mick Jackson confeziona un film davvero interessante, su cui troneggia la figura di Tom Wilkinson, interprete migliore del racconto. In ultima analisi Denial è un legal-drama che pesca nella storia, che la racconta attraverso una sceneggiatura satura di dialoghi e monologhi, che racconta l'orrore dell'Olocausto da un punto di vista che punta più alla storia che alla (facile) emotività.