Recensione: The Divergent Series: Insurgent
Dopo Divergent, arriva nelle sale italiane Insurgent, secondo capitolo della saga scritta da Veronica Roth.
di redazione / 17.03.2015 Voto: 4/10
Negli ultimi anni, sta andando parecchio di moda realizzare trasposizioni cinematografiche di romanzi di fantascienza distopica. Prima è toccato ad Hunger Games di Suzanne Collins, poi a The Divergent Series di Veronica Roth ed, infine, a Maze Runner di James Dashner.
La struttura diegetica è, più o meno, basilare: un/una giovane protagonista, investita di speranze messianiche, si trova a dover guidare la rivolta contro il governo dittatoriale che sfrutta il popolo. Il modello di riferimento è quello della fiaba russa analizzata da Vladimir Propp. Le tappe del viaggio dell'eroe vengono rispettate tutte.
In origine, era stato Battle Royale di Kenta Fukasaku, trasposizione del romanzo di Koushun Takami, a portare in scena la struttura del death game film strutturato sul modello di un videogame, con i protagonisti obbligati a superare una serie di livelli, per portare in salvo la propria vita. In tempi recenti, As the gods will di Takashi Miike, con il pretesto di recuperare e rileggere il filone, ha intessuto un'interessante riflessione sulle dinamiche crossmediali nella società contemporanea.
Dopo essere stati identificati come Divergenti, persone che non rientrano in nessuna classificazione sociale (Pacifici, Candidi, Abneganti, Intrepidi ed Esclusi), Tris e Quattro sono in fuga, inseguiti da Jeanine, la leader assoluta della fazione degli Eruditi. Mentre le truppe di Jeanine vanno alla ricerca dei rifugiati e dei Divergenti tra le rovine di Chicago, Tris attraversa la città nella speranza di trovare alleati e di capire il perchè del sacrificio dei suoi genitori. Si tratta del segreto che porta Jeanine a non fermarsi davanti a nulla per catturarla. Tris affronta le sue paure più oscure, cercando di evitare di causare dolore ai suoi cari, imbattendosi in una serie di sfide impossibili, cercando di far emergere la verità sul passato.
La prima parte del terzo capitolo di Hunger Games, che presenta più di un punto in contatto con Insurgent, sfrutta la fantascienza distopica ed il percorso dell'eroe per costruire un profondo discorso attorno alla natura simbolica della protagonista, alla potenza delle campagne pubblicitarie e alla costruzione di una forte personalità in relazione al contesto pubblico. Gli accenni metacinematografici abbondavano nettamente.
Insurgent risulta privo di una più profonda ed ulteriore chiave di lettura, finendo per essere un gioco masturbatorio per ragazzi scarsamente stratificato. Dietro il velo di Maya dell'azione e del ritmo elevato, non c'è nulla.
Il risultato è, quindi, la copia brutta e slavata di Hunger Games, in cui né il cast né il lavoro sull'immagine raggiunge i risultati sperati.