Recensione Kingsman: Secret Service
Matthew Vaughn dirige una pellicola dall'impianto fortemente citazionistico, che non rinuncia in alcun modo a divertire il pubblico, avvolgendolo con una trama sincera e coinvolgente, forte di un'attenta cura alla colonna sonora e sorretta da prove d'attore di prima categoria.
di Erika Pomella / 01.02.2015 Voto: 8/10
Eggsy (Taron Egerton) non ha molte ambizioni nella vita: nonostante un quoziente intellettivo molto alto e capacità che lo hanno portato a primeggiare negli sport così come nell'addestramento per diventare un Marine, il ragazzo è invece interessato solo a star lontano dal suo violento patrigno e a compiere piccoli crimini insieme ai suoi amici. Dopo l'ennesima bravata e ad un passo dalla prigione, Eggsy utilizza la medaglia al valore di suo padre, consegnata diciassette anni prima da un uomo misterioso in abito scuro, che aveva detto ad Eggsy di chiamare il numero inciso sul distintivo in caso di aiuto. E' in questo modo che il ragazzo conosce Harry (Colin Firth), vecchio amico di suo padre, e spia in un servizio di intelligence internazionale e indipendente, i Kingsman. Harry, che ha notato le capacità del ragazzo, gli propone di prendere parte alle selezioni per diventare un nuovo agente e lo affida alle cure di Merlino (Mark Strong). Nel frattempo il plurimiliardario Richmond Valentine (Samuel L. Jackson), dopo essere rimasto deluso dai fallimenti di tutti i tentativi per salvaguardare il pianeta, decide di passare all'azione con un piano che rischia di distruggere l'umanità.
Al suo quinto film da regista, a tre anni da X-Men: l'inizio Matthew Vaughn torna dietro la macchina da presa con una pellicola che deve il proprio esoscheletro narrativo al fumetto firmato da Mark Millar, la stessa penna alla base della nascita di Kick Ass, capolavoro pop di Vaughn a cui Kingsman: Secret Service è senz'altro imparentato, fosse solo per la venatura esageratamente sopra le righe. Lo spettatore, infatti, si trova davanti uno spettacolo eccessivo, quasi surreale e spesso inverosimile. Aggettivi che il regista ha attaccato al suo prodotto cinematografico con piena consapevolezza, giocando con arguzia su un genere fortemente stereotipato (quello spionistico) e sul decorso che ha avuto in questi ultimi anni, dove l'ironia e l'esagerazione sono elementi ormai fuori dall'equazione. Matthew Vaughn fa divertire i propri protagonisti, costruendogli intorno un impianto citazionistico che dai facili richiami a James Bond passa anche per pellicola fuori dal contesto di genere, come Zoolander o V per Vendetta. E in questa mega gabbia di rimandi e omaggi i personaggi si muovono tra piani sequenza al limite del verosimile, violenza portata all'estremo e una cura precisissima nell'utilizzo della colonna sonora, vero asso nella manica in ogni film di Matthew Vaughn, che riesce a miscelare le sonorità moderne con le grandi opere della musica classica, in un gioco di rimando e di contrasto che sembra quello che Stanley Kubrick ha sempre ricercato nei suoi lavori.
Al di là di questa attenzione citazionistica, però, Kingsman è, soprattutto, una pellicola che intrattiene, che diverte lo spettatore senza fargli mai sentire il peso di una costruzione diegetica a priori. Niente di quello che viene mostrato appare costruito a tavolino e l'impressione che se ne ricava è un continuo fluire, uno scorrere limpido e cristallino, in cui lo spettatore si sente una parte attiva, immedesimandosi con il giovane Eggsy, avvicinandosi al mondo dei Kingsman con la stessa sorpresa e la stessa sete di conoscenza. La pellicola è, per usare un luogo comune, una macchina perfettamente oliata, che non mostra crepe, che si mostra consapevole di se stessa e dei propri mezzi, che esagera per chiara volontà del regista che, con la sua sincerità visiva, conquista immediatamente la fedeltà di chi guarda, aiutata naturalmente dal grande talento degli attori messi in gioco. Colin Firth riesce senza alcuno sforzo a conciliare la sua naturale eleganza di gentiluomo britannico – non è un caso se, nella sua carriera, ha più volte portato il cognome Darcy – alla precisione di un uomo dedito all'azione. Dall'altra parte della barricata, invece, abbiamo un Samuel L. Jackson che porta all'eccesso la rappresentazione di un villain della domenica, un uomo che con le sue cene a base di McDonald e la "zeppola", sembra essere uscito proprio da quei vecchi film di una volta, in cui il cattivo con il suo folle piano di distruggere il mondo non poteva mai venir preso fino in fondo sul serio proprio per le sue evidenti mancanze.