Recensione The Imitation Game
'The Imitation Game' è un film compatto e solido, consapevole di sé e dei propri mezzi. Una pellicola toccante, intensa, che non risparmia ironia e speranza. Un maestoso Benedict Cumberbatch - in odore di Oscar - tiene insieme le redini di una storia vera che non potrà in nessun modo lasciarvi insensibili. Imperdibile.
di Erika Pomella / 02.01.2015 Voto: 9/10
Se siete appassionati di storia probabilmente conoscerete già la storia di Enigma, la macchina che i nazisti usarono durante la seconda guerra mondiale per mandare messaggi cifrati in un conflitto mondiale che stava mettendo in ginocchio l'Inghilterra. Enigma era uno strumento volto ad essere impossibile da decifrare con chiavi di lettura che non solo cambiavano ogni ventiquattrore, azzerando il precedente allo scoccare delle sei del mattino, ma che avevano una possibilità su 159 milioni di milioni di essere trovata. Proprio per cercare di azzerare questo gap, rendendo vano un deficit che poteva costare la perdita della guerra, gli Alleati chiesero aiuto ad un giovane matematico, Alan Turing, che avrebbe dovuto inserirsi in un gruppo di geni per cercare di decifrare Enigma.
In breve questa è la storia alla quale il regista Mortem Tyldum si ispira per il suo nuovo film, che in molti definiscono già un'operazione a tavolino come quella à la Il Discorso del Re; una pellicola, in altre parole, confezionata ad hoc per commuovere i membri dell'Academy e portare così a casa l'ambita statuetta e tutti i vantaggi economici che ne derivano. In effetti, The Imitation Game è un biopic estremamente classico, che si fa forte degli stilemi del genere per raccontare la biografia di un uomo che, con il suo cervello e il suo genio, è riuscito non solo a vincere una guerra, ma a cambiare il volto dell'umanità, ponendo le basi per quello che oggi noi conosciamo come computer. Eppure, nella sua struttura classicheggiante, The Imitation Game è un film solido, compatto, realizzato con un'estrema attenzione per i dettagli, che sposa alla perfezione la resa tecnica – in particolar modo la fotografia è davvero avvolgente – con una storia incredibile, che sembra essere uscita dalla penna del miglior autore thriller e che invece appartiene alla sfera del reale.
Il merito di Tyldum, tuttavia, è stato quello di non concentrarsi solamente sull'enigma matematico e sul suo svelamento; non ci sono solo numeri e codici in The Imitation Game. Alla politica e alle questioni inerenti il conflitto, il regista affianca sempre un'affezione per la storia, intesa non solo come quadro generale, ma anche come quel lento succedersi di eventi che porta l'essere umano a evolversi, a diventare questo piuttosto che quello. Ecco allora che il vero centro focale dell'intera operazione è – come è facile indovinare – il personaggio di Alan Turing, interpretato magistralmente da Benedict Cumberbatch che, dopo aver dato il volto a Sherlock nella serie omonima e al Julian Assange di Wikileaks, torna a vestire i panni di un genio che, proprio per le sue capacità prodigiose vive in qualche modo separato dalla realtà. Alan Turing è un borderline, un uomo che ha convissuto sempre con la consapevolezza di essere strano. Il regista tratteggia con sicurezza un ritratto fatto di luci e ombre, genio e vulnerabilità, costruendo una struttura narrativa divisa su tre piani narrativi: quello più ampio è, naturalmente, quello che riguarda Enigma, una delle più grandi sfide che l'uomo abbia mai dovuto affrontare sul fronte matematico. In questo lasso di tempo impariamo a conoscere Alan, la sua difficoltà nel relazionarsi con gli altri, la sua paura di amare e il suo bisogno di riversare tutti i suoi sentimenti e il suo bisogno emotivo in una macchina universale, capace di svelare tutti i misteri del mondo. E' l'ordine ciò che Alan insegue con la sua invenzione; un ordine che egli stesso non può trovare rispecchiato nella vita, dove tutto sembra troppo legato al caso. Il secondo piano narrativo è quello del passato, quello in cui spiamo l'evoluzione di Alan, il suo approcciarsi alla decodifica; è il momento dell'adolescenza, del bullismo subìto, della solitudine. Ma è anche il tempo dell'amicizia, della scoperta, dell'amore. Un periodo che balla sul filo che separa i più limpidi sentimenti da un serpeggiante senso di morte e di ineluttabilità. E' grazie a queste sequenze che il cuore dello spettatore può ancora più facilmente entrare in empatia con il personaggio principale, nonostante tutte le sue mancanze e le sue (apparenti) arroganze. Il regista ci fa entrare nel suo mondo, ci giustifica il suo stesso modo d'essere, portandosi ad uno stato di comprensione che ci spezza letteralmente il cuore quando veniamo portati sull'ultimo piano narrativo, quello del presente. L'alternanza di questi tre livelli temporali, invece di rallentare la diegesi, fa sì che lo spettatore non riesca in alcun modo ad uscire dal labirintico mondo di Alan Turing, complicato e affascinante al tempo stesso, capace di far rider e di commuovere fino alle lacrime.
The Imitation Game, nel suo essere pieno di numeri e cifre e codici, è in realtà un film profondamente umano: Benedict Cumberbatch – proprio come aveva già fatto con il Little Charles di I segreti di Osage County – dà il volto ad un personaggio pieno di buoni sentimenti, di potenzialità; un personaggio che, tuttavia, mostra anche crepe e difficoltà. Gli occhi cerulei dell'attore, spesso ripresi in primo piano, sono gli occhi di chi continua a guardare il mondo intorno come un parco gioco pieno di possibili sorprese; eppure quello stesso sguardo a volte si adombra, portando in superficie un malessere diffuso che il regista spiega solo con la potenza delle sue immagini. In questo ritratto toccante e intenso, Tyldum riesce a trovare spazio anche per altre riflessioni: la questione etica tra sacrificare qualcuno per il Bene Comune, o salvare dieci uomini e condannarne a morte altri mille. In più l'omosessualità del protagonista permette al regista anche di soffermarsi – seppur brevemente – sulla vergognosa intolleranza dell'epoca, in cui amare un uomo era un reato punibile con la prigione. Con tutti questi elementi The Imitation Game dimostra di essere un film pieno, consapevole di sé e dei propri limiti (ben pochi, in effetti), sorretto da un cast magnifico che include anche Matthew Goode e Mark Strong.