Machete kills, la recensione
Machete kills è una parodia di una parodia ed orienta la trilogia verso un inevitabile climax ascendente che caratterizza ogni singolo elemento messo in scena. Consigliato a chi ha apprezzato gli altri lavori di Robert Rodriguez.
di redazione / 03.11.2013 Voto: 7/10
Machete is back. And kills again.
Il regista bambinone Robert Rodriguez riattinge dal suo gigantesco mondo fumettistico, portando per la settima volta sullo schermo la figura di Machete Cortez (comparsa nei quattro episodi di "Spy Kids"), in Machete kills, secondo episodio della trilogia a lui dedicata, di cui fanno parte anche Machete e Machete kills again…in Space!, saga sviluppata a partire dal fake trailer inserito nella seconda parte di Grindhouse, omaggio di Tarantino e Rodriguez al cinema di serie B dei doppi spettacoli dell'America degli anni Settanta. Machete debutta sullo schermo cinematografico con l'omonimo film del 2010, presentato in anteprima alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia come proiezione di mezzanotte.
Dopo aver perso, nel primo film, la moglie e la figlia, uccise dal personaggio interpretato da Steven Seagal, aver smascherato il complotto ordito dal senatore corrotto portato sullo schermo da Robert De Niro, ed aver trovato, infine, la sua vendetta, Machete viene contattato dal Presidente degli Stati Uniti che gli affida l'incarico di stanare un pericoloso rivoluzionario messicano che ha intenzione, con l'ausilio di un venditore di armi, di scatenare una guerra globale.
Emerge ancora una volta, senza alcun filtro autoriale e serioso, la volontà di Robert Rodriguez di divertirsi facendo cinema e, viceversa, di utilizzare il cinema come strumento ludico ma, comunque, di affermazione di un coerente progetto di messa in scena che non viene mai meno nei suoi film. E, se andiamo a considerare l'affermazione di François Truffaut secondo cui "Fare un film (…) significa prolungare i giochi dell'infanzia", vi è la convinzione, a detta del sottoscritto, che a dirigere, montare, fotografare, produrre e musicare Machete kills sia stato il bambino presente nel corpo adulto di Robert Rodriguez, quello che, a tredici anni, all'uscita dalla proiezione di 1997: fuga da New York, ha detto "Anch'io sarei capace di girare quella roba!". Il giovane appassionato di cinema che, pur di trovare il denaro sufficiente per trasporre sullo schermo la sceneggiatura di quello che sarebbe stato il suo primo film, si è fatto rinchiudere in una struttura per ricerche sulla droga come volontario pagato per un esperimento clinico. Il one-man film crew che ha diretto, nel 1992 (lo stesso anno di debutto del fraterno amico Quentin), El mariachi, fulgido esempio di cinema "Do It Yourself", film ripreso con due sole macchine da presa e con artigianali ed inventivi effetti speciali realizzati completamente nel profilmico. Il primo episodio di quella che sarebbe diventata la "Trilogia del mariachi" si è aggiudicato il premio del pubblico al Sundance Film Festival ed è diventato il film a più basso budget (è costato appena 7000 dollari) mai distribuito da una major. Rodriguez ha poi riportato questa esperienza nel libro "Rebel without a Crew: or how a 23-year-old filmmaker with $7000 became a Hollywood player", divenuto una bibbia per chi volesse approcciarsi al cinema in modo indipendente.
Machete kills, per la gioia dei fan più esaltati ed estremisti, si apre con il trailer del futuro "Machete kills again…in space!" collocato in funzione di prologo, in pieno stile Grindhouse, che lascia presagire un terzo episodio all'insegna del divertimento e dell'ironia portati avanti fino al parossismo, in un divertissement fitto di citazioni e richiami cinefili. Con il simbolo dei Troublemakers Studios partono i titoli d'inizio, fumetti cromaticamente saturi e graffiati, realizzati sfruttando l'effetto pellicola rovinata e granulosa che era già stato utilizzato nelle sequenze più sanguinose e spinte di Grindhouse: Planet Terror, che conducono direttamente alla prima macro sequenza che parte in quinta con una serie di scontri in una cavalleria rusticana in cui rimane vittima la donna di Machete, interpretata da Jessica Alba, per l'omicidio della quale viene catturato lo stesso Clint Eastwood del pulp, che viene salvato dalla gogna grazie ad una telefonata in extremis da parte del Presidente degli Stati Uniti, interpretato dal debuttante Carlos Estevez (il vero nome del gigione Charlie Sheen), che gli affida una missione fondamentale per la sorte del mondo. Machete kills procede in un'esplosione di colori, di colpi d'arma da fuoco, di battute ironiche che colpiscono tanto quanto i proiettili, di straordinarie situazioni paradossali e cambi di scena e "twist ending" che, a volte, eccedono e confondono lo spettatore, che dovrà ricollegare tra loro gli scollegati fili di una trama irrisolta ed irrisoluta che sembra passare in secondo piano rispetto alla cura ed al mantenimento dell'atmosfera ironica ed "esuberante" lungo tutto l'arco del lungometraggio.
I film di Robert Rodriguez sono difficilmente catalogabili e non possono essere semplicisticamente rinchiusi dentro gli stretti confini di un semplice genere cinematografico, risultando come un melting pot di atmosfere e situazioni; Machete kills si avvicina molto ad uno dei più "classici" generi del cinema americano, il road movie, in cui, spesso, il movimento fine a se stesso è il movente ultimo che spinge (anche incosciamente) i personaggi, movimento che è alla base dello spettacolo cinematografico, il cui dinamismo è solo un'illusione generata da staticità in rapida successione, oltre ad essere l'elemento fondamentale del cinema attrazione, quello delle origini, tutto basato sulla centralità del moto del corpo umano e degli elementi che con esso interagiscono. Rodriguez, quindi, dietro la linea di sviluppo superficiale strettamente legata al mero ludismo del film action con effetti di serie B, intesse una ripresa dei caratteri peculiari del Cinema che fu, in una riflessione metacinematografica volta ad un ritorno al cinema puro, a partire dalla stessa etimologia del termine κίνημα (movimento). Purtroppo, però, Machete kills risente di un certo sbilanciamento complessivo, causato dalla volontà dello sceneggiatore di intrattenere, costruendo una storia eccessivamente satura di colpi ad effetto e di personaggi poco approfonditi, che alza decisamente l'asticella del trash rispetto a Machete e che risente di una minore trattazione di temi socialmente importanti, come quello fondamentale del difficile rapporto tra USA e Messico e della tratta di immigrati che avviene lungo il confine tra i due Paesi, così lontani così vicini.
Il punto di forza è il solito Danny Trejo, (anti)eroe involontario dallo sguardo monocromatico e costantemente cagnesco. Se il Clint Eastwood di Sergio Leone aveva due sole espressioni, quella con il cappello e quella senza cappello, l'eroe della frontiera di Rodriguez può vantare di averne una sola, una maschera anticamaleontica che fa il verso al tradizionale protagonista dei film d'azione, sempre padrone e pienamente responsabile delle proprie azioni, orientato verso il pieno compimento di sè e la risoluzione totale della vicenda. Latin lover contro la propria volontà, Machete parodia, in modo abbastanza evidente, il Terminator di Arnold Schwarzenegger, robottone programmato per compiere la propria missione, corrispondenza che diventa evidente, soprattutto in questo secondo episodio, per le battute fulminee (per l'appunto, quasi robotiche) e per lo stile di recitazione sempre più da stone face.
Machete kills, in definitiva, risulta una parodia di una parodia ed orienta la trilogia verso un inevitabile climax ascendente che caratterizza ogni singolo elemento messo in scena. Pienamente consigliato a chi ha apprezzato gli altri lavori di Robert Rodriguez e sguazza nel suo esaltato immaginario cinematografico. Tutti gli altri che si prendono un pò troppo sul serio è meglio che si diano ad altro. A noi, fan dell'uomo dal cappello texano, non resta da fare altro che aspettare con ansia la successiva missione spaziale di Machete. Perchè, una cosa è certa: Machete will kill again.