Miss Violence, la recensione
Miss Violence di Alexandros Avranas è il film più terribile del 70o Festival di Venezia, una storia cruda e agghiacciante di violenza che inizia con il suicidio di una bambina.
di Giorgia Tropiano / 10.09.2013 Voto: 8/10
Miss Violence è la nuova opera del regista greco Alexandros Avranas, in concorso alla 70esima Mostra del Cinema di Venezia, vincitrice del Leone d'argento per la migliore regia e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, data a Themis Panou.
Il film racconta una storia cruda e agghiacciante di violenza, incesto e prostituzione. Si apre con il suicidio di una bambina durante la festa per i suoi undici anni e subito ci si chiede il perché di quel gesto estremo all'interno di una famiglia che sembra apparentemente felice. Più il racconto procede più ci si rende conto che quel nucleo familiare molto simile a tanti altri è in realtà un covo di perversione, follia e orrore, in cui i piccoli della famiglia, e non solo, sono le vittime sacrificali di quel mostro che si nasconde al suo interno.
Miss Violence è sicuramente il film più terribile del Festival per quello che racconta, è quello che si spinge oltre e che, in una scena che sarà difficile dimenticare, oltrepassa la soglia visiva dell'immaginabile al cinema. Molto più di Moebius perché rende reale ciò che il film coreano rende solo come immaginazione e perché, a differenza di quello di Kim Ki-duk che mostra apertamente la violenza e in questo modo si riesce a metabolizzarla, quello di Avranas rimane più gelido, più freddo, meno urlato e quindi, dal punto di vista dello shock visivo, più efficace. Ciò che è lasciato all'immaginazione è sempre più pauroso di quello che viene mostrato apertamente.
Una delle pellicole più riuscite del Festival, sicuramente la migliore fra quelle in concorso, Miss Violence porta sullo schermo il male assoluto e lo impersonifica nel personaggio peggiore che si potesse scrivere. Non c'è alcun aspetto positivo in lui, come ovviamente deve essere. Meritatissimo il Leone d'argento al regista che crea un senso continuo di ansia, di angoscia e di ribrezzo ad ogni inquadratura, ad ogni primo piano, in ogni scena, anche, anzi soprattutto, in quelle più serene e felici, come nella sequenza del ballo spensierato della bambina davanti la tv.