Recensione Il canone del male
Recensione del violento Il canone del male, film diretto da Takashi Miike che ha aperto il Festival del Film di Roma 2012: c'è sangue, violenza, ci sono omicidi brutali e figure che sicuramente di positivo hanno ben poco.
di Giorgia Tropiano / 10.11.2012 Voto: 7/10
Il canone del male è il nuovo violento film di Takashi Miike, autore di culto giapponese, uno dei registi più prolifici che ci siano, con una media di tre film l’anno. La pellicola è stata selezionata come film d’apertura del concorso della settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, scelta alquanto coraggiosa, essendo un’opera non facile da digerire se non si è patiti del genere o del regista.
Seiji Hasumi (Hideaki Ito) è un giovane insegnante di inglese affascinante e molto amato dai suoi studenti. Disponibile con i suoi colleghi, è sempre pronto ad aiutare i suoi alunni e a risolvere tutti i problemi che emergono nel corso delle lezioni. È ligio alle regole e ama farle rispettare, ma senza troppa severità, con dolcezza e fermezza. Interviene durante una rissa, blocca un gruppo di ragazzi che imbroglia agli esami, punisce episodi di bullismo e di molestie sessuali. Sembra il professore perfetto, ma dietro questa maschera di bontà c’è qualcosa di minaccioso e misterioso che rimane celato. Fino a quando un professore di fisica non sospetta di lui ed inizia ad indagare, scoprendo qualcosa del suo passato. È il momento per Seiji di agire, non può lasciare che il suo segreto venga a galla e da quel momento in poi la situazione degenererà in qualcosa di profondamente tragico.
La prima cosa che si può dire de Il canone del male è che non è un film per signorine, bisogna essere consapevoli di ciò che si sta andando a vedere, bisogna innanzitutto sapere che nei film di Takashi Miike c’è sangue (qui ce ne è a volontà), c’è violenza, ci sono omicidi brutali e figure che sicuramente di positivo hanno ben poco. Questa è la prerogativa da avere in mente se si sceglie di vedere una sua pellicola. Detto ciò, il film è delirante, allucinatorio, spesso anche eccessivo, al limite del ridicolo, ma molto coraggioso, perché per scegliere come protagonista un folle omicida che, pensando di agire nel nome di Dio, uccide persone amate e ragazzi innocenti con una tale freddezza, ci vuole coraggio. Soprattutto perché, altra caratteristica dei film dell’autore giapponese, l’ironia (spesso fondamentale per stemperare la violenza delle immagini) è presente sempre, ma in particolare durante la strage finale, e quando si ride della morte è sempre un rischio.
L’intera pellicola è accompagnata dalle note da brivido di “Die Moritat von Mackie Messer” composta da Kurt Weill e rielaborata poi, in versione jazz, da Ella Fitzgerald e Louis Armstrong e cantata in seguito da artisti come Frank Sinatra, Sting, Nick Cave e Michael Bublè, canzone che fa da filo conduttore a tutti gli omicidi computi da Seiji, durante tutta la sua discesa verso la follia e la crudeltà che si impossesseranno definitivamente di lui.