Steve Mcqueen - Una Vita Spericolata (2015)
Steve McQueen: The Man and Le MansDocumentario, firmato da Gabriel Clarke e John McKenna, che ripercorre la lavorazione del film Le 24 Ore di Le Mans, che vedeva protagonista l'iconico attore statunitense. McQueen, grande appassionato di corse, sia su due che su quattro ruote, era disposto a tutto purché il film incentrato sulla gara più impegnativa del calendario del motorsport a livello mondiale vedesse la luce. Il documentario offre uno spaccato unico del mondo dell'automobilismo su pista negli anni Settanta, grazie al dietro le quinte delle riprese effettuate per la pellicola di Lee H. Katzin durante la 24 Ore di Le Mans del 1970, e restituisce un ritratto singolare del carismatico attore e delle sue vicende pubbliche e private di quel periodo oltre a mostrare footage inedito e le interviste esclusive a Derek Bell, cinque volte vincitore a Le Mans, a David Piper, che perse una gamba durante le riprese e alla co-protagonista di McQueen nel film, Sigi Rauch.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 5 Novembre 2015Uscita in Italia: 05/11/2015
Genere: Documentario
Nazione: USA, UK - 2015
Durata: 112 minuti
Formato: Colore
Passaggi in TV:
• giovedì 07 Dicembre ore 02:00 su Sky Arte
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DICHIARAZIONE DEI REGISTI
STEVE MCQUEEN: UNA VITA SPERICOLATA è un avvincente e commuovente documentario che condurrà gli spettatori in un adrenalinico viaggio al fianco di una delle più grandi star della storia del cinema.
Nel 1970 Steve McQueen arrivò in Francia, per portare a termine una sfida decisamente ardua: realizzare il miglior film sul mondo dell'automobilismo di sempre. Si sarebbe chiamato Le 24 Ore di Le Mans (1971). Ci siamo prefissi l'obiettivo di ricostruire pezzo per pezzo l'incredibile storia – sia dentro che fuori dal set – dei sei mesi che cambiarono la vita di McQueen.
STEVE MCQUEEN: UNA VITA SPERICOLATA mescola filmati d'archivio ad interviste a membri della famiglia di McQueen e ad alcuni dei componenti più importanti del gruppo di lavoro della produzione del film. Abbiamo scoperto oltre tre ore e mezzo di girato filmato sul set nel 1970, una sorta di dietro le quinte del progetto che era rimasto nascosto in scantinati e garage in Europa e negli Stati Uniti per quattro decenni.
Sono stati rinvenuti nastri che contenevano interviste a McQueen per la durata totale di diverse ore.E non solo: dopo un anno di ricerche, i nastri originali de Le 24 Ore di Le Mans – che tutti coloro che avevano lavorato al film credevano essere andati persi – sono stati ritrovati dai registi. Per la prima volta questo materiale verrà visto dal pubblico, riportando sullo schermo la visione unica di McQueen riguardo al film più importante della sua carriera.
Rievocando un'epoca speciale e portando alla luce una storia altrettanto unica per la prima volta, crediamo che il nostro film ridefinirà il mito dello Steve McQueen icona del cinema, e mostrerà un lato inedito del McQueen regista visionario.
I REGISTI
GABRIEL CLARKE & JOHN MCKENNA
Nel maggio del 1970, Steve McQueen volò in Francia per cominciare a lavorare al film che significava per lui molto di più di qualunque altra pellicola che aveva girato. Per lui, la vita era meravigliosa. Viveva a Beverly Hills, in una villa talmente faraonica da essere conosciuta nelle cerchie di Hollywood come "Il Castello". Aveva due figli ed un bellissima moglie, Neile.
Gli anni '60 erano stati la sua epoca d'oro. McQueen si era fatto conoscere nel classico western I magnifici sette prima di recitare ne La grande fuga, film di guerra che aveva riscosso un grandissimo successo al box office. Aveva poi conquistato la critica nel blockbuster romantico Il caso Thomas Crown, prima di incarnare il perfetto poliziotto anticonformista in Bullitt, pellicola che rese gli inseguimenti automobilistici un classico del cinema.
Bullitt era stato il quinto trionfo cinematografico di fila per McQueen; l'attore era all'apice del successo, incuteva rispetto ed esercitava il suo potere sugli altri.
La sua società di produzione, la Solar Productions, aveva firmato un accordo per la realizzazione di sei pellicole con la Cinema Center Films. McQueen aveva la possibilità di lavorare per se stesso, scegliere i progetti che preferiva e trarne i profitti. Finalmente aveva l'opportunità di realizzare il film su quella che era stata la sua passione per gran parte di un decennio.
«Qualche mese prima dell'inizio delle riprese, diffondemmo un poster che raffigurava McQueen al volante di una vettura da corsa. I telefoni cominciarono a suonare all'impazzata. Si trattava di un affare a colpo sicuro, non si poteva sbagliare».– Bob Rosen, produttore esecutivo della Cinema Center Films
Per la star ed il suo film non si sarebbe badato a spese. McQueen avrebbe alloggiato in un castello del quattordicesimo secolo. Oltre ad un gruppo di lavoro formato da tecnici e da meccanici d'élite provenienti da tutto il mondo, al film avrebbero partecipato 45 tra i più famosi piloti dell'epoca.
Al centro della visione unica di McQueen c'era l'autenticità. Voleva catturare il vero pericolo, e l'essenza più profonda dell'automobilismo su pista. Per raggiungere questo scopo, McQueen richiedeva che i piloti corressero alla velocità che avrebbero fatto registrare in gara, giorno dopo giorno. McQueen aborriva i progressi più recenti in merito a rallenty ed effetti speciali, e non voleva sentire parlare di trame romantiche.
Le 24 Ore di Le Mans poteva contare sulla stella più brillante del firmamento di Hollywood, su uno dei migliori registi in circolazione e su un cast tecnico eccezionale. Mancava solamente una cosa a McQueen, quando iniziarono le riprese, all'inizio di giugno del 1970: una sceneggiatura…
Per Steve McQueen, le corse rappresentavano molto di più di un hobby. Quando arrivarono gli anni Sessanta, McQueen era diventato un vero e proprio pilota automobilistico, dotato di talento. La velocità rappresentava una dipendenza ed una via di fuga per l'attore.
Sin dal 1962, McQueen aveva esternato la sua volontà di realizzare un film che riuscisse, per la prima volta nella storia del cinema, a rendere appieno la velocità, il pericolo e la bellezza dello sport che tanto amava.
Nel 1966, Warner Bros cancellò i piani di realizzazione di Day of the Champion, il primo tentativo da parte di McQueen di girare un film dedicato al mondo delle corse, perché la MGM e James Garner li avevano battuti sul tempo, girando Grand Prix. Il film di Garner somigliava più ad una soap opera su quattro ruote, che a un racconto autentico incentrato sull'automobilismo su pista, ma questa battuta d'arresto rappresentò una sconfitta bruciante per McQueen.
La sua volontà di realizzare il film definitivo sul mondo delle corse si trasformò in un'ossessione.
OSSESSIONE
Per McQueen, le corse rappresentavano una forma d'arte. Voleva catturare la pura essenza di questo sport, e l'attrattiva che esercita sullo spirito umano. Nel 1970, la 24 Ore di Le Mans, conosciuta in tutto il mondo, era il test più grande delle abilità di un pilota. Questa gara sarebbe stata l'ispirazione e l'ambientazione della visione di McQueen.
Cinema Center Films investì un budget di 6 milioni di dollari, il più elevato fino a quel momento per un film di McQueen. Il leggendario regista John Sturges (La grande fuga, I magnifici sette) avrebbe diretto la pellicola. Bob Relyea, partner negli affari e grande amico di McQueen, sarebbe stato a capo della produzione.
Ma Steve McQueen non sarebbe stato semplicemente la star del film; sarebbe stato anche l'autore, la forza motrice del progetto. Questa è la storia di come una delle star del cinema più carismatiche di tutti i tempi finì per perdere quasi tutto ciò che aveva per cercare di realizzare il suo sogno più recondito.
«Quello che accadde a Steve mentre girammo quel film non dovrebbe capitare a nessuno» – Bob Rosen, Executive Producer, Cinema Center Films
«Voleva lasciare la sua impronta nella storia della regia. Disse "Sono un pilota, un attore e un regista» – Neile Adams McQueen, prima moglie dell'attore
«Nel film, abbiamo preferito cercare di servirci delle immagini per mostrare cosa spinge un uomo a correre con le auto, anziché spiegarlo a parole, e raccontare le sensazioni che l'automobilismo suscita nei piloti. Si tratta di una specie di sballo» – Steve McQueen
TRADIMENTO
Nove mesi prima dell'inizio delle riprese di Le Mans, Steve McQueen avrebbe dovuto partecipare ad un party presso la residenza ad Hollywood della star del cinema Sharon Tate. Un incontro dell'ultimo secondo con una bionda misteriosa gli salvò la vita. Tate, che aspettava un figlio da Roman Polanski, fu brutalmente uccisa insieme ad altre quattro persone da Charles Manson e i suoi complici.
Mentre era sul set in Francia, McQueen scoprì che il suo era il primo nome nella lista delle persone che Manson avrebbe voluto uccidere. Scrisse a casa, richiedendo urgentemente il porto d'armi, e da quel momento in poi viaggiò sempre con una pistola carica. Le tendenze paranoiche di McQueen aumentavano di pari passo con le pressioni legate alle riprese del suo progetto.
«Steve versava in uno stato di agitazione: era estremamente paranoico e cauto. Tutto era amplificato, anche il livello di pazzia» – Mario Iscovich, assistente personale di McQueen
All'inizio delle riprese de Le 24 Ore di Le Mans, la moglie di Steve, Neile, esasperata dalla palese infedeltà del marito, confessò di averlo tradito a sua volta. McQueen stava perdendo sua moglie ed il suo film.
Dopo sole sei settimane dall'inizio delle riprese, il regista John Sturges, frustrato dal rifiuto di McQueen di girare una "storia hollywoodiana", abbandonò il progetto. Sturges e McQueen non lavorarono mai più insieme.
«Sono troppo vecchio e troppo ricco per sopportare queste stronzate» – John Sturges, regista
Il costi della produzione avevano ormai superato il budget, e non c'era una sceneggiatura all'orizzonte; Cinema Center Films decise di prendere in mano la situazione, costringendo McQueen a firmare un documento che de facto gli avrebbe tolto il controllo del progetto.
McQueen attribuì la colpa del suo crollo nervoso al suo più caro amico nel mondo dello spettacolo, il produttore esecutivo Bob Relyea.
«Mi hai tradito, mi hai pugnalato alle spalle. Io e te non parleremo mai più» – Steve McQueen
LE NUOVE RIPRESE
Le nuove riprese effettuate e le interviste con la famiglia di McQueen ed alcuni membri del cast artistico e di quello tecnico de Le 24 Ore di Le Mans hanno immortalato momenti drammatici che si intrecciano con gli incredibili filmati d'archivio. Il racconto include anche la ricostruzione di alcune scene chiave, rivissute da coloro che erano presenti e hanno raccontato questi accadimenti a parole loro.
Chad McQueen, il figlio di Steve, è tornato a Le Mans nell'estate del 2014 per la prima volta da quando, sul set del film del padre, nacque la sua passione per i motori. All'epoca, aveva solo dieci anni.
La narrazione fuori campo, a cominciare da quella di Steve McQueen, è il filo conduttore che contribuisce a tessere il racconto.
«Ci sono stati dei momenti in cui ero sotto pressione, in cui ho dovuto combattere contro qualcuno nell'ambiente del cinema. Per cinque anni ho pensato di gettare la spugna» – Steve McQueen
RISCATTO
Dopo la fine delle riprese de Le 24 Ore di Le Mans Steve McQueen non partecipò più a corse automobilistiche. Voltò le spalle allo sport che era stato il suo primo amore. McQueen tornò ai fasti del passato recitando in Papillon, pellicola che ricevette il plauso della critica.
L'enorme successo riscosso al box office all'inizio degli anni Settanta da Getaway! e L'inferno di cristallo fece sì che McQueen non dovesse più avere preoccupazioni a livello economico. Divenne sempre più solitario.
La passione di Steve McQueen per il mondo del cinema non fu più la stessa dopo la débâcle de Le 24 Ore di Le Mans. Il film, tuttavia, ha superato la prova del tempo, diventando un cult.
Nel mondo di oggi, in cui gli effetti speciali la fanno da padroni, Le 24 Ore di Le Mans è considerato il film sul mondo dell'automobilismo su pista più realistico che possa mai essere realizzato sul tema.
«Gli appassionati di corse di oggi venerano questo film. Non parlano d'altro. Le 24 Ore di Le Mans vive di vita propria». – Bob Rosen, produttore esecutivo
Steve McQueen riuscì nel suo intento di garantire "purezza e realismo" nel suo film, ma il plauso della critica per la pellicola arrivò molto dopo la sua morte.
McQueen morì a soli 50 anni, nel 1980, di mesotelioma, una forma maligna di cancro ai polmoni causata dall'esposizione all'amianto. Nelle tute indossate dai piloti negli anni Sessanta erano presenti tracce di questa sostanza.
«Quando uno corre, vive. E tutto quello che fa primo o dopo è solo attesa». – Steve McQueen
LA GRANDE IDEA
ANDREW MARRIOTT
Produttore esecutivo
La prima gara importante che seguii in veste di giornalista fu la 24 Ore di Le Mans. Fui immediatamente rapito non solo dalla difficoltà del tracciato ma anche dall'atmosfera speciale che si respirava a margine di questa corsa storica. Qualche anno più tardi, Steve McQueen riuscì ad immortalare tutto questo nel suo film Le 24 Ore di Le Mans, che vidi non appena approdò nei cinema inglesi.
In seguito, mi occupai di molte altre gare importanti sia per la carta stampata che per la televisione, tra cui il Gran Premio di Monaco, la 500 Miglia di Daytona, la 500 Miglia di Indianapolis e la 12 Ore di Sebring. Nonostante ciò, Le Mans rimane la gara che più di ogni altra mi fa battere il cuore. Fortunatamente, seguo questo evento ancora oggi – a più di 50 anni da quella prima volta – per il canale televisivo statunitense Fox Sports.
Qualche anno fa, acquistai il libro di Michael Keyser, A French Kiss with Death, e lessi con interesse dei problemi e delle tribolazioni che McQueen dovette affrontare per realizzare Le 24 Ore di Le Mans. Per questo motivo, dopo aver collaborato proficuamente con John McKenna e Gabriel Clarke ad un documentario per ITV sulle superstar dell'automobilismo degli anni Settanta, Barry Sheene e James Hunt, McQueen sembrava il soggetto migliore per il nostro programma televisivo successivo.
Quando cominciammo a scavare più a fondo, però, ci rendemmo conto che la storia era troppo interessante per essere raccontata solo sul piccolo schermo. Quattro anni dopo, a seguito di qualche intoppo e molte negoziazioni, cominciammo a collaborare con McQueen Racing e con Chad McQueen, e ora Steve McQueen: una vita spericolata è realtà.
Diversi professionisti di talento si sono uniti a noi nel corso del progetto per fornirci la loro esperienza unica. Tra loro, cameramen, tecnici del montaggio e del suono, addirittura avvocati e commercialisti, e, naturalmente la nostra line producer, Victoria Wood, e il fantastico archivista Richard Wiseman. Quando altri – compresi alcuni signori piuttosto ricchi che considerano correre a Le Mans una passione – dubitavano di noi, arrivarono Bonamy Grimes e Barry Smith, due uomini che avevano la visione e i fondi di cui avevamo bisogno. La loro adesione al progetto ci permise di realizzare il nostro sogno.
Crediamo di aver reso il fascino e l'entusiasmo non solo di quegli inebrianti giorni degli anni Settanta, ma anche di un uomo che nutriva una passione totalizzante, una vera e propria ossessione, che lo spinse a realizzare il film definitivo sul mondo dell'automobilismo da pista. Questa persona era anche la star più carismatica di quell'era hollywoodiana: Steve McQueen.
CHAD MCQUEEN TORNA A LE MANS
44 anni dopo, un altro McQueen ha messo piede in Francia, al Circuit de la Sarthe, teatro della 24 Ore di Le Mans. Chad McQueen, figlio di Steve, ha intrapreso uno storico viaggio che lo ha riportato nel luogo in cui aveva trascorso un'estate incredibile nel 1970, durante le riprese di quello che sarebbe diventato il film più iconico dedicato al mondo delle corse della storia.
La Le Mans Classic è una gara che vede vetture di ogni epoca – compresa quella d'oro immortalata dal film – scendere in pista per dimostrare che la loro competitività ha superato la prova del tempo.
Si trattava della migliore ambientazione per filmare Chad mentre passeggiava lungo il circuito e ricordava quella che per lui era stata un'estate fantastica.
Siamo riusciti a scovare una Porsche 911 grigio ardesia del 1970, che è stata portata dalla Germania a Le Mans per le riprese. Chad ha avuto la possibilità di guidare questa vettura bellissima, rara e in ottimo stato sulle strade di campagna della regione della Sarthe, le stesse che percorre suo padre al volante del medesimo modello nelle prime scene del film.
Ci siamo poi spostati in circuito. Assistere al ritorno di Chad a Le Mans è stato incredibile. È un pilota in tutto e per tutto – «Portatemi alla Mulsanne!» – e questo traspare dalle riprese, nel momento in cui lo immortalano mentre ammira la vista e i suoni dell'iconica pista dopo così tanto tempo.
Il fatto che un McQueen fosse tornato a Le Mans finì naturalmente per attirare parecchia attenzione da parte della stampa, e Chad venne bombardato di domande in una conferenza stampa organizzata all'ultimo secondo. Lo perdemmo di vista mentre stavamo tornando alla location scelta per le riprese, e lo sentimmo impegnato in un'intervista in diretta via altoparlante.
Quando finalmente ci ritrovammo, andammo a visitare i tratti più importanti della pista, gli stessi che avevano affascinato il giovanissimo Chad McQueen di allora. La curva Arnage fu la prima che visitò da piccolo, e corse subito a vedere dal vivo le monoposto che aveva conosciuto solo in fotografia e i piloti che già seguiva. Per il figlio di un'icona universale, i veri eroi erano proprio gli alfieri che si battevano in pista, così come lo erano per suo padre. Poi Chad ci condusse nel punto in cui David Piper ebbe l'incidente le cui conseguenze gli segnarono la vita. Steve aveva portato Chad in quel luogo, affinché potesse vedere di persona «cosa può succedere nelle corse automobilistiche». Si trattò di un'affermazione profetica, visto che Chad avrebbe successivamente abbandonato la recitazione per seguire il suo amore per le corse, diventando protagonista di un traumatico incidente.
Alla fine di un weekend ricco di impegni, ci recammo allo Chateau Lornay, a Vire-en-Champage, dove la famiglia McQueen alloggiò durante le riprese de Le 24 Ore di Le Mans. Si tratta di un luogo a cui sono legati molti ricordi d'infanzia di Chad.
Il nostro film è incentrato proprio su quell'indimenticabile estate del 1970 e sull'archivio dell'epoca, ma abbiamo intervallato il racconto dello svolgimento delle riprese con scene girate oggi che vedono protagoniste le persone che hanno vissuto quel momento incredibile. La presenza di Chad in questo luogo leggendario rappresenta un fil rouge della narrazione del film.
Siamo veramente grati a Chad per aver acconsentito a condividere questi momenti personali e questi ricordi con noi.
IN GIRO PER IL MONDO ALLA RICERCA DI STEVE MCQUEEN
Il processo decisionale riguardo alle persone più indicate per raccontare la nostra storia è stato tutt'altro che semplice: abbiamo dovuto scegliere minuziosamente a chi rivolgerci per far parte di questa narrazione. Una produzione così ambiziosa come Le 24 Ore di Le Mans vide moltissime persone coinvolte, con tante storie da raccontare. Abbiamo dovuto quindi lavorare su una lista di possibili membri del cast tecnico e artistico da coinvolgere dopo 40 anni, per capire chi era ancora vivo e cercare di trovare recapiti telefonici per contattarli. Una volta raggiunti gli interessati, ci siamo presentati, abbiamo cercato di veicolare il senso della storia che avremmo voluto comunicare attraverso il film e abbiamo capito ciò che avrebbero potuto offrire al documentario e al racconto.
Una volta coinvolti nel progetto il figlio di Steve, Chad McQueen, e la moglie dell'attore all'epoca delle riprese della pellicola, Neile Adams McQueen, abbiamo deciso di parlare con altre quindici persone della nostra storia, o meglio, della storia di Steve. Questo ci ha portato a dividere le riprese in cinque fasi.
Prima fase – I piloti britannici
Derek Bell e David Piper. Cominciamo vicino a casa! Un giorno a Silverstone con Derek, un vero gentiluomo. Bell, cinque volte vincitore della 24 Ore di Le Mans, viene ancora oggi fermato ovunque da appassionati che gli chiedono un autografo. Poi, una giornata trascorsa nel Surrey in compagnia di David Piper. Dire che Le 24 Ore di Le Mans cambiò la vita di David è riduttivo. Ascoltare i suoi racconti e avere la possibilità di vedere il suo tesoro nascosto in garage è stato incredibile!
Seconda fase – Europa
Da Nord a Sud in tre giorni.
Primo viaggio in Svezia per la maggior parte di noi, per recarci all'Istituto Cinematografico Svedese. Una location splendida rappresentava il luogo ideale per l'intervistata più elegante. Louise Edlind intraprese la carriera politica in Svezia. Nel 1970, quando divise la scena ed un segreto incredibile con Steve, era però una giovane attrice.
Poi ci fu un breve volo verso Monaco, in Germania, alle pendici delle Alpi della Baviera, luogo in cui fu filmato La grande fuga e dove si trova la casa di campagna di Siegfried Rauch, famoso attore tedesco che in Le 24 Ore di Le Mans interpretava l'acerrimo rivale di Steve. Sigi ora vive una vita semplice e spirituale, ma all'epoca delle riprese lui e Steve erano come fratelli sul set. Sigi ha fornito dettagli molto interessanti riguardo all'ossessione di McQueen nel voler portare a termine questo progetto e sul suo amore per le corse.
Ci siamo successivamente spostati nella parte meridionale del continente, più precisamente ad Estepona, in Spagna, vicino a Gibilterra, dove abitava Jonathan Williams.
Questo signore inglese era un bravo pilota e contribuì in maniera fondamentale all'autenticità delle scene dedicate alla gara, visto che fu al volante della camera car nella 24 Ore di Le Mans nel 1970.
Purtroppo Jonathan è venuto a mancare pochi mesi dopo il nostro incontro, nell'estate del 2014. Era un uomo modesto e gentile, e siamo grati che abbia potuto dare il suo contributo unico al film.
Terza fase – Le Mans x 2
14 giugno 2014, la 24 Ore di Le Mans, gara endurance per eccellenza. "La gara più bella sul circuito migliore del mondo": così la descrive Derek Bell. Per riuscire a catturare la durata della corsa, l'agitazione e la drammaticità dell'automobilismo su pista e dare un tocco moderno al film, abbiamo coperto ogni centimetro della pista, giorno e notte.
A cosa serve dormire?
Nel luglio del 2014, invece, abbiamo portato di nuovo un McQueen a Le Mans per la prima volta dopo 40 anni. La Le Mans Classic ha visto Chad McQueen ripercorrere i passi di suo padre – e di se stesso a 10 anni. In quel weekend incredibile una Porsche 911 grigia del 1970 ha attraversato l'Europa per venirci incontro, Chad è stato assalito dalla stampa internazionale stregata da lui durante una conferenza stampa, e la nostra troupe ha faticato a tenere il passo di Chad mentre si addentrava nel cuore di Le Mans, teatro di quella gara che aveva infiammato la sua immaginazione di bambino e aveva innescato la sua passione profonda per il mondo dei motori.
Quarta fase – Stati Uniti
La maggioranza degli intervistati vive negli Stati Uniti. Sfortunatamente non sono vicini! Ci siamo imbarcati quindi in un viaggio di 20000 chilometri che ci ha visto visitare 8 città in soli 13 giorni.
Da Londra a New York; da New York a Baltimora per vedere Hal Hamilton, che recitò nella pellicola, e Michael Keyser, stimato autore esperto di Le Mans e proprietario di una collezione inestimabile di immagini e memorabilia legati alla corsa di durata per eccellenza.
Da Baltimora a Miami, dove risiede Alan Trustman, sceneggiatore de Il caso Thomas Crown e Bullitt, l'uomo che sostiene di aver dato il contributo maggiore allo sviluppo dell'immagine di McQueen come "re del cool".
Da Miami a Los Angeles per il cuore della nostra produzione. Sette giorni per realizzare sette interviste e altre riprese fondamentali.
John 'Mad Jack' Klawitter, produttore e autore nel 1970 del documentario del dietro le quinte del progetto Le 24 Ore di Le Mans, è riuscito a recuperare una versione di 45 minuti della pellicola, un girato preziosissimo.
Les Sheldon, aiuto regista e forza della natura!
Peter Samuelson, assistente alla produzione. «Sono partito per Le Mans diciottenne vergine e sono tornato uomo di mondo…».
Mario Iscovich, assistente personale di Steve nel 1970. Mario arrivò a Le Mans con questa qualifica e tornò a casa in cerca di un nuovo impiego.
Haig Altounian, capo meccanico di Steve a Sebring e Le Mans.
Abbiamo anche effettuato riprese presso Boys Republic, l'organizzazione che aiutò Steve da giovane e all'evento Cars and Coffee, che riunisce ogni settimana bolidi mozzafiato e persone attraenti.
La leggenda di McQueen qui continua a vivere. Abbiamo girato Los Angeles in lungo e in largo per dare uno sfondo moderno al nostro film.
E poi è arrivato il momento di incontrare la famiglia di McQueen.
Chad ci ha concesso un'intervista ponderata, dopo il nostro frenetico weekend in Francia di qualche mese addietro e prima che sua madre, Neile Adams McQueen, ci regalasse un racconto meraviglioso di un periodo della sua vita di cui raramente ha parlato.
Era arrivato il momento di dirigerci verso il deserto della California, dove una giornata trascorsa a Palm Springs con Chad ci permise di riprendere diversi preziosi memorabilia e alcune vetture originali appartenute a McQueen.
Un rapido viaggio in auto verso l'aeroporto di Los Angeles ci mise nello spirito giusto per affrontare il volo verso San Francisco, finché la mia valigia non è andata persa (è finita a Sidney!).
I problemi con I bagagli sono stati più che compensati dall'incontro con Craig Relyea, il figlio del socio in affari di Steve, nonché produttore esecutivo del film, Bob Relyea. Bob è scomparso poco più di un anno fa, ma Craig, che aveva aiutato il padre a scrivere la sua autobiografia e aveva lavorato sul set de Le 24 Ore di Le Mans come assistente alla produzione, fu esaustivo e profondo.
Dopo una notte di riposo a San Francisco arrivò il momento di imbarcarsi sul penultimo volo, grazie al quale avremmo sorvolato la costa Ovest per approdare a Seattle.
Bob Rosen era responsabile della produzione del film e fu una figura fondamentale sul set durante l'incredibile battaglia per portare la sua ossessione sullo schermo quarant'anni fa.
È stato brutalmente onesto: «Quello che accadde a Steve mentre girammo quel film non dovrebbe capitare a nessuno».
Avevamo realizzato 17 interviste dopo aver girato tutti gli Stati Uniti.
Era tempo di salire a bordo dell'ultimo volo, quello verso casa, esausti, ma contenti.
Quinta fase
L'autunno del 2014 portò con se gli ultimi giorni delle riprese, partendo da un viaggio lampo a Los Angeles per delle brevi, ma significative riprese con Neile, che si esibisce ancora sul palco.
Le scene che ricostruiscono alcuni eventi sono essenziali nel racconto, e queste, insieme ad una vasta selezione di fotografie, sono state filmate nel Regno Unito.
Il nostro direttore della produzione, Matt Smith, e il nostro tecnico del suono e aiuto operatore, Terry Hird, hanno svolto un lavoro incredibile portando il nostro set in giro per mezzo mondo.
Matt lo ha ribattezzato il "cadavere", denominazione che ci è valsa diverse occhiate dubbiose nelle code per i controlli in aeroporto. Questo bagaglio sovradimensionato, però, si è trasformato in uno sfondo per tutte le interviste la cui resa sullo schermo dovrebbe ripagare gli sforzi nel trasportarlo.
UN INCREDIBILE ARCHIVIO INEDITO
IL SACRO GRAAL
Per oltre quattro decadi, il mitico "girato lungo milioni di metri" de Le 24 Ore di Le Mans è stata la risposta dell'automobilismo sul grande schermo dell'arca perduta. I sei mesi di nastri dell'epico film di Steve McQueen esistevano ancora? E, in caso di risposta affermativa, dove si nascondevano? Anche Neile e Chad McQueen erano convinti che fossero andati persi.
Una scrupolosa ricerca condotta tra Europa e Stati Uniti tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014 non ebbe frutti: lo stesso risultato ottenuto da tutti coloro che l'avevano intrapresa nel passato. Alcuni vaghi indizi portavano ad un magazzino in disuso nel New Jersey. Altre persone parlavano di collezioni private in Sudamerica.
Molti supponevano che Steve McQueen avesse personalmente imposto la distruzione di tutto il materiale connesso al progetto – tranne la versione finale del film – nel 1971. Si tratta di un'ipotesi largamente riconosciuta come valida, anche perché offriva una spiegazione valida del perché tutto fosse scomparso nello stesso momento.
Tuttavia, una telefonata in tarda serata altamente speculativa a Los Angeles fatta una sera di febbraio dalle oscure profondità di Londra, e l'indirizzo, recentemente ottenuto, del luogo dove il film era stato montato, nella primavera del 1971, portarono all'arrivo di una mail, tre giorni dopo. Diceva: «Abbiamo trovato tra le 400 e le 600 scatole impolverate di nastri nascosti sotto un teatro di posa. Riportano tutte la scritta Le Mans. Non sanno di aceto, per cui potrebbero essere intatti. Lo sapremo solamente quando trasferiremo il girato dai negativi». Il responsabile degli archivi, Richard Wiseman, girò subito questa comunicazione a John McKenna, che al momento si trovava in Russia, per filmare le Olimpiadi Invernali, aggiungendo solo la domanda «Vuol dire quello che penso io?». La risposta era affermativa.
UNA RACCOLTA DI TESORI D'ARCHIVIO
Oltre alla distruzione del girato originale, la leggenda voleva che il set de Le 24 Ore di Le Mans fosse stato completamente chiuso, e che a nessuna troupe era mai stato permesso di filmare il dietro le quinte durante le riprese. Così come molti degli altri miti che circondano la lavorazione di questa scatola di Pandora di film, questa storia si è rivelata falsa. Di qui la scoperta di un documentario svizzero sul dietro le quinte della pellicola – chiamato Song Of Le Mans – abbandonato e dimenticato, rinvenuto alla fine in una cineteca a Parigi. Per giunta, un membro della troupe della Solar rivelò con nonchalance che i nastri del suo personale "dietro le quinte" erano al sicuro nel suo garage, dove erano stati riposti 40 anni prima. Grazie alla clemenza del clima californiano, avevano superato la prova del tempo. La cosa più straordinaria riguarda uno degli autisti assunti da McQueen nel 1970. L'uomo, un francese, aveva girato ore di filmati amatoriali in Super 8. Questo materiale ci fu consegnato da un museo tedesco, dopo aver passato diverse decadi nascosto in magazzino nel Messico più profondo.
«Quando Steve parlava di rompere la barriera del film, usava un linguaggio mai usato prima ad Hollywood. Nessuno avrebbe mai pensato di farlo in questo modo. Credimi, Steve era avanti coi tempi con la sua visione»
John Klawitter, produttore del documentario girato sul set
LA LETTERA A DAVID PIPER
A volte circostanze imprevedibili possono sembrare incredibilmente fortunate anche a cinici incalliti come registi e giornalisti. Addirittura un segno del destino, forse. Questo perché, mentre il team di produzione di Steve McQueen: una vita spericolata stava preparando la prima scaletta delle interviste, nella primavera del 2014, nessuno di loro aveva mai sentito parlare del National Film Information Service, o NFIS. L'esistenza di questo istituto era stata portata all'attenzione dell'archivista della produzione del documentario en passant, durante una telefonata di routine a Los Angeles. Presto, però, scoprimmo che questa organizzazione possedeva nel proprio archivio una serie di documenti relativi a Le 24 Ore di Le Mans, che erano state donati pochi mesi prima da Neile Adams McQueen, con un tempismo perfetto. Tra questi, anche dei contratti in originale e corrispondenze inviate dalla campagna francese in California; questi fogli sembravano essere stati congelati temporalmente nel 1970.
Tuttavia, mentre aspettavamo l'arrivo di questi documenti, ansiosi di scoprire se il materiale che ci sarebbe pervenuto sarebbe stato così allettante come sembrava dal catalogo online dei contenuti disponibili, iniziò un conto alla rovescia. Avremmo dovuto riprendere l'intervista di Gabriel Clarke a David Piper lo stesso giorno in cui il pacco sarebbe dovuto arrivare dall'America. Anche se il corriere internazionale lo avesse recapitato nella data giusta, la logistica di un cambiamento di location dell'intervista nel Surrey più profondo non avrebbe funzionato per nessuno. Nel corso della produzione del documentario, diversi nastri e documenti si sono persi per strada o sono arrivati più tardi del previsto dagli Stati Uniti. Miracolosamente, questo pacco arrivò un giorno prima. Il risultato di questa fortunata coincidenza è visibile nel film, nel momento in cui "Pipes" legge per la prima volta, 44 anni dopo la sua stesura, una lettera indirizzatagli da Steve McQueen di cui non conosceva l'esistenza.
LA STORIA DEI NASTRI
Alcuni erano solo parzialmente udibili. Altri erano chiarissimi. Alcuni venivano da collezioni private. Altri, invece, erano stati registrati per interviste su quotidiani o periodici 45 anni prima, e nessuno li aveva più ascoltati. Ma tutto il materiale audio – minuziosamente ordinato – presente in Steve McQueen: una vita spericolata aveva una cosa in comune: l'inconfondibile voce di Steve McQueen.
I registi, Gabriel Clarke e John McKenna, presero due decisioni editoriali fondamentali all'inizio della pre-produzione del loro documentario. La prima riguardava i filmati d'archivio, che, per quanto spettacolari, non sarebbero bastati da soli per raccontare la storia straordinaria di quanto accaduto sul set nel 1970.
Decisero, poi, che un narratore onnisciente non sarebbe stato adatto come voce della storia del film. Lo scenario ideale prevedeva il racconto da parte dello stesso Steve McQueen. Questa scelta comportava un unico, grosso problema: dove trovare delle registrazioni del genere?
Le prime ricerche d'archivio legate al film permisero di rinvenire alcune interviste mai viste prima tra cui, una con l'emittente Anglia Tv, di Norwich, risalente al 1962. Altri ritrovamenti non erano in formato video, ma necessitavano una conversione dalla fonte originale.
Una di queste registrazioni riguardava un'intervista che McQueen concesse ad un giornale studentesco nel 1968 sul set di Bullit, reduce dal successo de Il caso Thomas Crown. L'altro audio è relativo all'unica intervista mai concessa dall'attore sull'argomento Le 24 Ore di Le Mans, nel 1971, in occasione del lancio dell'Ontario Motor Speedway, circuito californiano la cui storia non sarebbe durata a lungo: chiuse infatti dopo soli 10 anni. Entrambe le registrazioni furono trovate setacciando vecchi articoli di giornale, nella speranza di trovare una menzione del fatto che la conversazione era stata registrata. È proprio quello che avvenne in questi due casi. Miracolosamente, non solo entrambi gli autori erano ancora vivi, ma i nastri delle interviste erano stati conservati con cura. I due giornalisti si chiamano Steven Mori e William Edgar.
Altre fonti furono ancora più sorprendenti. Dopo essersi preso un periodo sabbatico di quattro anni da Hollywood a seguito del successo de L'inferno di cristallo, nel 1978 McQueen incontrò gli studenti di Cinematografia della Loyola Marymount University. Uno dei docenti del corso, Charles Champlin, un noto critico cinematografico losangelino, nel frattempo scomparso, aveva registrato l'intero incontro, particolarmente rivelatore. Da quel botta e risposta con gli studenti viene fuori il ritratto di uno Steve McQueen regista maturo, temprato dalle battaglie affrontate per realizzare le pellicole e dalle lezioni imparate.
L'intenzione era quella di dare a McQueen l'opportunità di raccontare la sua straordinaria storia dal suo punto di vista, 35 anni dopo la tragica, prematura scomparsa del "re del cool". La sua crescita, il suo background, le passioni di una vita…e il film più personale e sentito che abbia mai realizzato.
«La realizzazione del film è stata per molti versi decisamente più pericolosa della corsa stessa. Steve non aveva un grande senso del pericolo. Tutto, quindi, era portato all'estremo».
Peter Samuelson, assistente alla produzione
L'ULTIMA REGISTRAZIONE
Una delle scoperte d'archivio più toccanti sono le prime e le ultime parole che sentirete quando le luci si abbasseranno e Steve McQueen: una vita spericolata comincerà…
…sono parte di una chiacchierata con il Dottor W. Brugh Joy, una delle ultime persone ad aver avuto una conversazione intima con Steve McQueen prima della sua scomparsa.
Si tratta di un dialogo inedito, scoperto durante l'ampia fase di ricerca per il film; due estratti di questa conversazione aprono e chiudono la nostra pellicola.
Lo abbiamo utilizzato con il permesso del fratello dello scomparso Dottor Joy.
Poco conosciuto al di fuori degli Stati Uniti, il Dottor Brugh Joy ebbe una carriera accademica di tutto rispetto. Una pancreatite contratta in giovane età, però, gli fece riconsiderare la sua intera vita, anche dal punto di vista professionale, e alla fine degli anni Settanta era diventato l'uomo di fiducia cui l'élite di Hollywood si affidava quando la medicina convenzionale non dava i frutti da loro sperati. Per questo fu proprio lui la persona che Steve McQueen cercò di contattare, mentre si stava sottoponendo ad un trattamento sperimentale per combattere il suo cancro ai polmoni, nell'autunno del 1980.
Molto spesso, Joy registrava queste conversazioni – sia che fossero condotte in presentia, o telefonicamente – affinché i suoi clienti potessero ascoltarle successivamente.
In una di queste registrazioni figura una sua consulenza a Steve McQueen, in cui l'attore si apre con candore e coraggio solo sei settimane prima della sua scomparsa.
Il film si apre proprio con Steve, che si chiede se lo stress accumulato in un certo periodo della sua vita – in cui era "sotto pressione" – possa aver contribuito alla sua malattia.
La pellicola si chiude con un estratto della stessa conversazione.
«Amo sognare ad occhi aperti. Hai presente come funziona: quando sogni ad occhi aperti vai a dormire. Nella mia vita questi sogni diventano realtà». – Steve McQueen
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